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#1 2012-01-28 11:48:35

eynis
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ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

La leggenda di Eirene
Si narra di un guerriero potentissimo. Era così potente che veniva paragonato ad Achille, il mitico guerriero immerso dalla madre, la ninfa Teti, nel fiume Stige, e che quindi era diventato immortale, il suo nome era Ciril.
Ciril era un guerriero di Troia, ma dentro di se nascondeva un segreto che avrebbe potuto rovinarlo per sempre.
Il guerriero aveva dei lunghi capelli neri che decorava con perline e trecce. Gli occhi erano dello stesso colore dei capelli, neri come il carbone, come le notti d’inverno.
Consigliere ed amico di Ettore era l’unico che era stato in grado di sconfiggere il principe.
Combatteva sempre in prima linea e, il suo metodo nell’usare la spada era unico, nessuno gli resisteva.
Tranne Achille.
Era l’unico guerriero che non era riuscito a sconfiggere. E quella guerra gli proponeva una grande possibilità.
Ettore naturalmente era contrario, un po’ perché voleva Achille tutto per se, un po’ perché aveva paura per l’amico, anche se forse doveva essere il contrario.
In quel momento i due uomini si stavano allenando con le spade. I due elmi ben calati sulle teste, le armature, gli scudi, e, naturalmente le spade, come in un vero duello. Ettore aveva sfidato nuovamente Ciril e lui stava giocando con l’amico come il gatto gioca con il topo.
«Questa volta ti sconfiggerò!» gridava il principe con la voce attuita dallo sforzo e dall’elmo.
«Fai con comodo, non ho nessun impegno per oggi.» gli rispose Ciril con la voce pimpante ed allegre come se stesse facendo una passeggiata invece che un duello.
«Come fai ad essere così riposato?» chiese stupito l’avversario, ma Ciril colse l’occasione di distrazione dell’amico e con un colpo ben assestato gli fece volar via la spada dalle mani e gli puntò alla gola la propria.
«Non perdendomi in chiacchiere inutili!» gli rispose abbassando l’arma e girandosi verso un tavolino per prendere un calice con del vino.
Ma Ettore approfittò di quel momento per recuperare la spada e puntarla alle spalle dell’amico, che con uno scatto fece cadere il calice, rovesciando il liquido rosso su tutto il pavimento, ed estraendo la spada che puntò al collo dalle spalle dell’amico.
Quello, che non voleva arrendersi, si girò, procurandosi un taglio rosso sul collo, e tirò un fendente dove doveva esserci Ciril, ma il guerriero si era piegato sulle ginocchia per evitare il colpo, e adesso si stava alzando per controbattere alle mosse di Ettore.
Dopo tante mosse e cozzar di spade, quella del principe volò lontana sul pavimento.
«Basta, ha vinto…» disse senza fiato l’amico. «Ma come fai?» chiese l’amico mentre si appoggiava all’elsa della spada per riprendere fiato.
«Che noia! Sempre la stessa domanda! Non sai accettare il semplice fatto che io, sono più bravo di te?» chiese Ciril guardando Ettore negli occhi. «No eh? Comunque sei migliorato, ma fai ancora troppo rumore! Quando hai recuperato la spada, ed io ero di spalle, ti ho sentito alzarti e prendere l’arma. Poi sei prevedibile! Va bene che bisogna seguire il tuo “manuale”, ma se continuerai così, tutti capiranno la tua mentalità e anticiperanno le tue mosse!» sospirò Ciril. «Ma questa non è la prima volta che te lo dico, vuoi fartelo entrare in quella testa? Comunque, ti concederò la rivincita, se vuoi perdere ancora!» rise l’amico, e tornò al tavolo per bere il suo bicchiere di vino.
«Adesso basta Ettore! Ci siamo allenati abbastanza per oggi, e poi, sono stanco anche io.» disse rivolto al principe che era andato a recuperare la spada. Incredulo la lasciò cadere sul pavimento.

«Sei pronto?» chiese Ciril a Paride. «Ho sentito che vuoi affrontare Menelao, stai attento, è un guerriero forte, e la furia è dalla sua parte.»
«Grazie Ciril, terrò presenti i tuoi consigli.» poi il ragazzo, sentendo la voce roca dell’amico del fratello, pose la domanda che fece andare nel panico il guerriero. «Ciril, ma per caso sei malato? La tua voce è roca e… sembra quella… non so… quella di una donna…»
Gli occhi neri si spalancarono mostrando tutto il suo stupore, e, per un attimo negli occhi neri si vide lo stupore, e per un attimo, negli occhi neri si vide il panico. «Sì, ho preso il raffreddore, e adesso ho la voce rauca, ma sto usando un rimedio infallibile che tra poco mi farà tornare come nuovo. Adesso scusami, ma devo andare a prepararmi.» disse salutando Paride e andandosene il più lentamente possibile e cercando di mantenere la sua andatura normale, mentre tenera a freno tutti i muscoli per non farli correre.
Quando arrivò dentro la sua camera si diresse verso una colonna contrassegnata da innumerevoli tacche.
Scorse con il dito le varie file fino ad arrivare all’ultima. Contò le incisioni più e più volte.
Erano ventuno.
La pozione era scaduta già due giorni prima, ma la fatica e la guerra l’avevano camuffata, ora , che era riposato, la sua voce era tornata normale.
Con mani tremanti corse a un mobiletto basso vicino al letto e fece cadere tutte le boccette, fino a che non ne trovò una di terracotta, molto semplice, ma che lo aiutava a nascondere il suo segreto.
Tolse il tappo e bevve il liquido trasparente che gli scese lungo la gola come fuoco ardente.
“Non mi abituerò mai a questa sensazione!” pensò Ciril trattenendo a stento un urlo di dolore per la pozione che aveva bevuto e che gli bruciava in gola.

«Uomini! In marcia!» tuonò il solito vocione forte verso i suoi guerrieri
«Ehi!» esclamò Paride che l’aveva ritrovato nella folla. «Quel medicinale e fantastico! Dovrai assolutamente prestarmelo quando mi ammalerò anche io!»
Ciril, preso alla sprovvista sobbalzò e pose la mano sull’elsa della spada.
«Paride, sei pronto? Vuoi che ti dia qualche altra dritta per affrontare Menelao?» chiese per distrarre il principe dalla sua voce.
«No, grazie, penso di essere pronto.»
«Bene, allora buona fortuna.» esordì guidando i guerrieri fuori dalle mura di Troia.
Usciti dalla città i suoi soldati si misero davanti, come in tutte le battaglie. Di fronte a loro c’erano solamente i due principi.
Quando il duello cominciò, Ciril sapeva già che per Paride non c’erano speranze.
Il secondo genito era nel fiore dei suoi anni, anche lui aveva vent’anni, quindi erano più o meno coetanei, ma non era stato educato per combattere un duello con Menelao. Sapeva le mosse basi, giusto per difendersi.
Paride, aveva intuito Ciril, aveva deciso di battersi con Menelao perché si sentiva in colpa per aver fatto cominciare la guerra portato Elena a Troia, quindi aveva giocato con i sentimenti.
Quando Paride andò a rifugiarsi dietro le gambe di Ettore, Ciril aveva già previsto tutto.
Guardò con entusiasmo la morte di Menelao e la faccia del fratello quando vide il corpo esamine cadere al suolo.
“Quello era un uomo spietato e ha trovato la giusta punizione…” pensò Ciril.
Ettore mise il fratello su un cavallo e lo fece rientrare in città, per poi fare avanzare i suoi guerrieri verso le armate greche.
Ciril sguainò la spada e si buttò nella mischia, come era solito fare.
Affondava la spada nel corpo di un avversario e vedeva la sua vita, la sua famiglia, quello che lo aspettava a casa. Era così per ogni soldato a cui tagliava il sottile filo che lo teneva legato alla terra dei vivi.
Destra, sinistra, avanti e dietro, i colpi arrivavano da tutte le direzioni.
Poi ad un tratto lo vide.
Suo padre. Gli apparve davanti agli occhi nella sua armatura lucente, colui che gli aveva insegnato tutto, colui che amava, colui che l’aveva lasciata sola troppo presto.
Si fermò nel centro della guerra, fece cadere la spada e lo scudo.
Immobile nell’inferno.
Quel gesto attirò l’attenzione di Ulisse, che arrivò da dietro e affondò l’arma nella spalla di Ciril. Caduto a terra, stava per dagli il colpo di grazia, ma commise l’errore di guardarlo negli occhi. I suoi profondi e neri occhi. Ulisse si sentì risucchiato da quegli occhi sbarrati.
Intanto Ciril, con gli occhi appannati, guardava il padre, cercando di digli qualcosa, qualsiasi cosa, ma una fitta lancinante alla spalla sinistra gli squassò il corpo.
Un urlo muto gli uscì dalle labbra.
Il padre lo guardava, gli occhi dello stesso nero di quelli del figlio. Ad un certo punto il padre si avvicinò e se lo caricò sulle spalle.

Quando Ciril cercò di muoversi una fitta lancinante glielo impedì. Cercò allora di muovere braccia e gambe, ma erano prontamente legate.
Aprendo gli occhi vide solo buio.
«Vedo che ti sei svegliato.» disse una voce nell’oscurità.
«Chi sei?» chiese la voce di Ciril piena di dolore.
«Come, non mi riconosci?» chiese la voce accendendo un piccolo fuoco che bastò a illuminare l’intera stanza.
Si trovava in una piccola tenda, e lui era sdraiato su un letto di stracci. Quando il fuoco si fece più grande Ciril fu in grado di vedere la persona che gli stava parlando. «Tu?!» esclamò il ragazzo.
«Sì, io. Stupito? Ti aspettavi per caso qualche bella fanciulla?»
«Stronzo! Lasciami andare subito!» gridò la voce di Ciril piena di rabbia e dolore.
«E perché dovrei lasciarti andare? Sei così un bel bottino di guerra! In questo momento Ettore si starà disperando per la tua perdita, ti crederà morto, cosa che sarai tra poco. Ma prima ti torturerò un po’, sai vorrei proprio fargliela pagare per aver ucciso mio fratello.»
«Tuo fratello si meritava tutto quello che gli è successo, e anche peggio!» gli gridò Ciril.
«Ah, davvero? Vediamo se la penserai ancora in questo modo!» disse avvinandosi al letto di stracci e appoggiando il piede sulla ferita alla spalla del ragazzo.
«Sempre!» disse Ciril in una smorfia di dolore.
Agamennone usò tutto il suo peso e spinse ancora di più il piede sulla ferita.
Questa volta il ragazzo non poté trattener l’urlo di dolore.
Il re rise felice.
Ma Ciril lo sorprese sputandogli sul piede poggiato sulla ferita.
Agamennone gli sferrò un calcio sul volto facendogli sanguinare il naso e rompendogli il labbro.
«Sai, non è giusto che io tenga tutto per me questo magnifico spettacolo, penso che ti condividerò con tutti i soldati, sai, con la guerra il morale è molto basso, e un bello spettacolo come te è proprio quello che ci vuole.» esordì dopo averci pensato un po’ su. Allora lo fece alzare di peso e lo portò fuori dalla tenda dove il sole stava calando all’orizzonte.
Molto probabilmente aveva già deciso che avrebbe fatto un’esecuzione pubblica, perché lo portò al centro di uno spiazzo nel mezzo dell’accampamento.
Furono accesi dei fuochi e Ciril fu legato ad un palo nel centro dello spiazzo, e più calava il sole, più arrivava gente.
Ormai lo spiazzo brulicava di uomini, impazienti di vedere e partecipare allo spettacolo.
«Guerrieri, vi presento… il grande Ciril di Troia!» esordì Agamennone.
Si levò un grande urlo di gioia.
«Chi vuole cominciare?» chiese il re ai propri uomini appena il brusio si fu calmato.
Dopo un attimo, un uomo si avvicinò a Ciril con un ferro arroventato. «Di cicatrici ne hai molte, se ne avrai una in più o una in meno non si noterà la differenza.» e, dicendo così gli posò il ferro sul braccio. Il ragazzo strinse i denti per non far contento l’uomo e il suo pubblico con le urla di dolore. In molti gli passarono il ferro arroventato su braccia e gambe, altri gli venivano a sputagli in faccia, altri lo riempivano di calci, sberle e pugni.
«Braccia e gambe non provano alcun dolore, dovete passare a qualcos’altro.» disse una figura nell’ombra.
«Achille! Vuoi partecipare anche tu?» chiese Agamennone con un po’ di riluttanza verso il più grande guerriero del suo esercito. La figura uscì dalla massa di corpi e si diresse al centro dello spiazzo.
Prese tra le mani il viso di Ciril, lo girò dall’una e dall’altra parte, guardando i lividi causati dai pugni e dagli schiaffi.
Lasciò ricadere la testa e si dedicò a braccia e gambe. «Come mai vi siete dedicati solo a queste parti del corpo?» Agamennone alzò le spalle indifferente.
Allora Achille iniziò a slacciare la casacca sporca di sangue del ragazzo, ma in quel momento Ciril si riprese e tirò una poderosa testa ad Achille.
L’uomo barcollò indietro, ma appena si riprese dallo shock, gli tirò un calcio nella pancia così forte da farlo piegare in due.
“Sta nascondendo qualcosa…” pensò Ulisse che nascosto dalla folla guardava il guerriero sputare sangue. Al re di Itaca non piacevano quegli spettacoli crudeli, ma si obbligò a guardarlo.
Mentre guardava il ragazzo soffrire si chiese come avesse fatto a farsi manipolare così da due semplici occhi, ma la risposta rimaneva nascosta da qualche parte nella sua mente.
Anche Achille aveva intuito qualcosa.
«Tu!» e indicò un soldato. «Tienigli ferma la testa!» l’uomo si precipitò dietro al palo a tener ferma la testa di Ciril.
Il ragazzo si dimenava mentre Achille gli toglieva la camicia.
«Lasciami!» gridava il ragazzo sputando sangue.
«Sai, ti ho osservato, sei stato calmo e silenzioso fino a adesso, come mai ti stai agitando così tanto ora?» poi avvicinandosi all’orecchio di Ciril gli chiese: «Hai per caso qualcosa da nascondere?» il ragazzo si immobilizzò. «Bene! Hai ritrovato la calma, finalmente!» esordì Achille con un sorriso sulle labbra.
“Non c’è più niente da fare, ormai è finita.” Pensò Ciril abbassando gli occhi neri.
Achille continuò a slacciagli la casacca. Quando fu tolta sul petto di Ciril si vedeva una fasciatura bianca che gli copriva la maggior parte del torace.
«Guarda, guarda…» esclamò Agamennone facendosi più attento. «La cosa si fa interessante…»
Achille estrasse da un fodero un pugnale che usò per tagliare le fasciature, che quando furono tolte, (immaginatelo...)
Dagli uomini si levò un’esclamazione di stupore.
Agamennone si avvicinò al palo. «Così, il più grande guerriero di Troia e… una donna?» chiese il re con voce divertita. «Dimmi il tuo nome, donna!»
«Si dice che quando una persona conosce il tuo nome, ha in mano la tua vita, perché dovrei dirtelo?» chiese la donna con la testa china.
«Perchè te lo ordino!» esclamò Agamennone puntandole la spada alla gola.
La ragazza scoppiò in una fragorosa risata. «Uccidimi, uccidimi pure! Tanto, quando tornerò a Troia mi toglieranno tutti i miei gradi e, molto probabilmente mi rinchiuderanno in una stanza a fare quello che secondo voi devono fare le donne.»
«Dillo a me.» disse Achille, e all’uomo che si trovava dietro alla ragazza fece segno di slegarle i polsi e le caviglie.
«Mi chiamo Eirene.» disse semplicemente la ragazza quando fu libera.
Achille le passò la sua casacca, e lei la prese con uno strattone e la indossò il più in fretta possibile per coprirsi.
«Perchè mi hai rivelato il tuo nome?» le chiese Achille.
Eirene gli si avvicinò e gli sussurrò: «Così saprai il nome di chi ti ha ucciso.» e un grosso sorriso le si aprì sul viso pieno di lividi e sangue.
“È bellissima anche così…” pensò il guerriero che la stava guardando. Lei colse quell’attimo di distrazione e prese la spada di Achille dal fodero e la puntò su di lui.
«Ma non oggi.» disse la ragazza ad alta voce.
Agamennone scoppiò a ridere. «Cosa vuoi fare, tu, da sola, contro un intero esercito, donna?»
Lei scoppiò a ridere a sua volta. «Re stupido e ingenuo! Sai solo guardare le apparenze! E morirai per questo, perché io sono una donna, ma ho ucciso gran parte del tuo esercito di uomini. In questo momento potrei già essere a Troia e tu su una pira funebre!» gridò la guerriera.
Agamennone ribolliva di rabbia e indignazione, e con un gesto nascosto fece segno a un arciere che scoccò una freccia contro Eirene.
Lei si girò verso l’arciere e prese la freccia al volo, dopodiché la lanciò e la freccia si andò a fermare sul collo dell’uomo con l’arco che cadde a terra in una pozza di sangue. Eirene vide ancora il filo della vita dell’uomo spezzarsi.
Cercò di mascherare l’orrore che provava ogni volta che uccideva  un uomo, ma le riuscì molto difficile, e allora, l’orrore per se stessa si mescolò al dolore corporeo.
Intanto gli spettatori la guardavano stupiti e con orrore.
«Troppo rumore.» disse solamente Eirene. «Mi lasciate passare o devo uccidervi?» chiese agli uomini in cerchio. Subito i guerrieri si spostarono per farla passare. «Bene, arrivederci Achille, ci rincontreremo molto presto.»
«Lo spero Eirene, lo spero.» disse il guerriero che era l’unico rimasto impassibile.
Eirene cominciò ad incamminarsi verso Troia, e nessuno la fermò.

«Aprite!» gridò Eirene. «Sono Ciril!» le porte delle mura della città girarono sui cardini e si aprirono lentamente.
Appena fu dentro la città Ettore gli corse incontro, ma Ciril lo fermò prima che l’amico lo abbracciasse.
«Ciril! Sei vivo! Non sai quanto ero preoccupato per te!»
«Ettore, grazie, ma non metterti a piangere, ti prego, non lo sopporterei.»
«Sei sempre il solito!» disse Ettore, poi lo guardò. «Ma tu sei ferito!» gridò guardando la casacca macchiata di sangue.
«Non è niente, ho solo bisogno di vedere mia madre.» disse il ragazzo avviandosi verso la sua camera.

«Eirene! Sei viva! Grazie a Dio! Sapevo che non dovevi diventare un guerriero! Stavo per morire dalla paura!» esclamò una donna con i capelli neri con qualche ciocca bianca e gli occhi verdi appena vide entrare la figlia nella camera.
«Madre, calmatevi. Non è successo nulla. Ho solo bisogno che voi mi medichiate.» disse Eirene togliendosi la casacca e lasciando vedere n profondo taglio sulla spalla sinistra, le innumerevoli bruciature i il livido sull’addome dove Achille l’aveva colpita.
«Mio Dio! Come ti hanno conciata!» esclamò la donna portandosi le mani alla bocca.
«Non fanno male madre, però vanno pulite.» la tranquillizzò la figlia.
«Ma…» la ragazza zittì la madre con un gesto, e la donna cominciò a pulirle le ferite.
«È tutta colpa di tuo padre!» esclamò la donna dopo un po’ senza darsi per vinta.
«Madre…»
«No, è vero! È tuo padre che voleva n maschio! Ed è stato lui a volerti educare alla spada! Non ha pensato alla tua vita, ma solo a ciò che voleva lui, come sempre…»
«Ma a me piace madre! Usare la spada è l’unica cosa che mi esce bene!»
«Perché non hai potuto imparare niente altro Eirene. A quest’ora mi avresti dato dei nei nipotini, e tu avresti n marito, se solo tua padre non avesse pensato solo a se stesso.»
«Madre…»
«Ho capito, ho capito, la smetto.» disse la donna continuando a medicare le ferite della figlia.
«Ho finito.» disse la donna quando la ferita fu fasciata e sulle bruciature fu messo un lieve strato di unguento per alleviare il dolore.
«Grazie madre.» disse Eirene, poi chiamò un servo.
«Vai a dire al principe Ettore che domani lo aspetto nella piazza dell’Agorà quando il sole sarà allo zenit per un duello.»
La madre sentì il messaggio e corse nuovamente dalla figlia.
«Ma cosa fai? Sei ferita e stanca e…»
«Madre, Agamennone ha scoperto il segreto. Appena ne avrà l’occasione lo dirà a tutti, e io non voglio dagli questa possibilità. Lo dirò io per prima, anche se questo vuol dire rinunciare alla guerra e a tutto quello che mi sono costruita.» disse prendendo tra le sue le mani della madre.
«Ti potrebbero uccidere…» mormorò la donna con le lacrime agli occhi.
«Madre, non ho paura di morire, e se Ettore mi farà uccidere vuol dire che non è un vero amico.»
«Ma…» cercò di obbiettare la madre.
«Madre, ho deciso, non puoi farmi cambiare idea.» guardò la donna e le sue lacrime scenderle sul volto. Alzò la mano e gliele asciugò.
«Adesso vado a dormire, sono stana e devo prepararmi per domani.»
«Buona notte Eirene.»
«Buona notte madre.»

Il sole era lato nel cielo e Ettore era al centro della piazza e aspettava Ciril.
La gente si era radunata tutto intorno alla piazza e voleva vedere la bravura del guerriero-leggenda.
Una figura incappucciata si avvicinò al centro della piazza.
«Sei in ritardo Ciril.» gli sorrise Ettore.
«Mi sono dovuto preparare per l’occasione, e poi, sono ferito se non ricordi, spero che almeno così tu possa vincere.» rise il ragazzo.
«Già, lo spero anche io.» sorrise il principe. «Non ti togli il mantello Ciril?» chiese Ettore vedendo che l’amico non si toglieva il pezzo di stoffa nera che gli copriva il volto.
«Mi hanno conciato abbastanza male, non vorrei spaventare qualcuno. Volgiamo cominciare?»
Ettore annuì e sguainarono le spade all’unisono, il duello cominciò.
Destra, sinistra, avanti, i colpi arrivavano potenti e a Ciril doleva la spalla, le ustioni e il livido che era diventato violaceo sulla pancia gli rendeva difficile qualsiasi movimento, per non parlare del mantello che gli impediva i movimenti.
«Sei stanco?» chiese Ettore.
«No, e tu?» chiese il ragazzo con il fiatone.
«No.»
«Bene.» disse Ciril.
Affondo, parata, salto, abbasso. Colpo.
Affondo, parata, salto, abbasso. Colpo.
«Oggi sei tu quello che segue il “manuale” Ciril.»
«Voglio solo darti un po’ di vantaggio.» ansimò il ragazzo.
Ettore non la pensava così, ma rimase in silenzio.
“Adesso basta! Non posso resistere a lungo. Devo vincere, e subito!” pensò Eirene stanca morta.
Il guerriero andò a cercare nella sua mente l’immagine di uno scrigno pieno di polverina nera che era l’energia che usava solo quando era all’estremo delle forze. Quando fece scattare il lucchetto invisibile del cofanetto facendo uscire la polverina il suo corpo si animò di una nuova energia e cominciò a combattere veramente.
Parata, capriola, affondo, spalla, ginocchio, fianco, salto. Colpo.
In men che non si dica la spada di Ettore volò lontano e Ciril puntò la sua al cuore dell’amico con il palmo sull’estremità dell’elsa, come se volesse affondarla nel cuore del principe.
«Amico, mi vuoi bene?» gli chiese il ragazzo.
«Che domande, certo! Ti voglio bene come se tu fossi mio fratello.» gli rispose Ettore guardandolo stupito negli occhi.
«Non lasceresti mai che mi facessero del male?» chiese ancora il giovane.
«Mai.»
Ciril mise nel fodero la spada, si slacciò il mantello e si tolse il cappuccio facendo cadere la stoffa nera. Sotto portava un vestito bianco che le arrivava alle ginocchia. Il corpetto si incrociava sul seno e sulla schiena formava una X. La spalla sinistra era fasciata, e le braccia e le gambe nude facevano vedere i segni rossi delle bruciature. Quando alzò la testa il viso, che era stato pulito, mostrava alcuni lividi violacei e dei tagli, tra cui, i più evidenti e brutti, uno sotto l’occhio, uno sul labbro superiore, e uno sulla fronte. I capelli neri erano stati puliti e brillavano alla luce del giorno. Erano stati acconciati con perline e  trecce, come al solito, ma in quel momento formavano un’acconciatura complessa e tipicamente femminile.
Ettore la guardava con occhi sbarrati.
«Io sono Eirene, figlia di Menos.»
«Impossibile. Eirene è morta appena nata, lasciando solo Ciril come figlio a Menos.» disse Ettore sicuro di se.
«No, Ciril non è mai nato. Io non ho un gemello, ma mio padre ha sempre desiderato un maschio, e allora, non avendone avuto uno, ha deciso di crescere me come guerriero, facendomi mascherare da Ciril, ma lui non esiste, sono solo io, Eirene, una donna.»
«Non è possibile! Ciril deve essere ancora da Agamennone! Deve averlo ucciso e tu stai cercando di prendere il suo posto!» gridò Ettore portandosi le mani alle orecchie in preda alla frustrazione.
«Non cercare di aggrapparti a false speranze, sono io Ciril, solo che non sono mai stata quello che sono. Poi pensa, chi altro ti può sconfiggere?» chiese la ragazza, con la voce che le si addolciva sempre di più.
«Nessuno.» sussurrò il principe. «Perché non me l’hai detto?» chiese infine il principe urlando alla ragazza.
Eirene si mise a ridere. «Secondo te sarei arrivata fino a questo punto se aveste saputo che ero una donna?» il principe scosse la testa. «Appunto. La spada è la mia vita, lo sai bene anche tu, se un altro principe mi chiedesse di rinunciare a combattere perché sono una donna non accetterei, lo sai benissimo, piuttosto combatterei contro tutta l’armata di quel principe, ma se sarai tu a chiedermelo, so che non sarà solo un principe a chiedermelo, ma sarà anche il mio migliore amico, e quindi non mi opporrò, fai la tua scelta.»
«Perché me l’hai detto?» chiese allora Ettore modificando la domanda. «Potevamo fare andare avanti tutto come prima, senza che io sapessi la verità.»
«Mentre mi torturavano, ieri, Agamennone lo ha scoperto, e io non volevo dagli la soddisfazione di fartelo dire da lui.»
«Io…»
«Fai quello che ritieni giusto,» disse Eirene senza neanche farlo finire di parlare. « ma ricordati che io, prima di essere una donna, sono una risorsa importante per la guerra, perché senza di me non la vincerete.»
Ettore chiamò due guardie. «Mi dispiace.» furono le uniche parole che le disse il principe. «Portatela via!» Eirene, come promesso, non si oppose, ma grosse lacrime le rigavano il volto.
La ragazza rimase chiusa in una camera per tutto il resto della guerra.

Guardò entrare dalla finestra, un cavallo gigantesco attraverso le mura della città. Osservò i festeggiamenti dalla finestra.
Non aveva ricevuto visite, non le facevano neanche vedere sua madre, che più di una volta aveva sentito piangere dietro la sua porta e pregare le guardie di farle vedere la figlia, ma gli ordini del principe erano stati molto chiari. Nessuno poteva vederla.
Ma quel giorno, al tramonto, qualcuno bussò, e lei fece entrare la persona senza neanche curarsi di chi fosse perché dal passo aveva già capito chi era entrato.
«Paride, perché da queste parti?»
«Ettore è morto.» disse solamente il principe.
«Lo so, lo ha ucciso Achille. Mi dispiace per te, e per tuo padre, e per sua moglie.» disse solamente continuando a guardare fuori dalla finestra.
«Ti dispiace per lui dopo che ti ha rinchiusa qui?» chiese stupito Paride.
«È stato troppo semplice, non mi convince…» disse la donna evitando la domanda.
«Perché non mi rispondi?» esclamò arrabbiato il principe.
Finalmente Eirene si girò. Il volto era guarito, i lividi erano scomparsi, e dei tagli rimanevano solo dei segnetti bianchi che accrescevano maggiormente gli occhi e i capelli neri. «E cosa dovrei risponderti? Io a tuo fratello volevo un bene dell’anima! Avrei dato la vita per lui! L’ho sempre creduto un ottimo amico, e lo è stato, ma non è colpa mia se sono nata donna e se non posso combattere! Io avrei fatto la stessa cosa! Ma non puoi chiedermi di odiarlo.» disse la ragazza con le lacrime agli angoli degli angoli degli occhi. «Non sai quante volte l’ho maledetto, e ho cercato di odiarlo, ma non ci sono riuscita! Ho maledetto il destino che mi ha fatto nascere così, e ho maledetto Ettore perché non è stato in grado di guardarmi altre a questo.» disse Eirene guardando il suo corpo avvolto che era avvolto in un vestito azzurro lungo fino ai piedi.
«Lui ha sofferto molto per quello che ha fatto. Ogni sera si allenava come quando c’eri tu con lui, faceva anche finta di parlarti! Mi faceva così pena.» disse avvicinandosi e prendendo le mani della ragazza tra le su, ma lei le ritrasse di colpo e si asciugò le lacrime.
«Non trattarmi così! Come aspetto sarò anche Eirene, ma dentro sono sempre Ciril, il guerriero, il più bravo di tutta Troia, che voi vogliatelo ammettere oppure no!»
«Tu sei e sarai sempre la più brava.» disse Paride allontanandosi.
«Perché non mi avete fatto partecipare alla guerra? Perché Ettore non è mia venuto a trovarmi? Non ho neanche potuto partecipare al suo funerale, non mi hanno fatto uscire… per… niente… come se fossi una prigioniera…»
«Ciril, non sai quanto Ettore abbia voluto venire a trovarti, ma nostro padre glielo ha impedito, non sai quante volte si è pentito di essere stato così superficiale, tu per lui eri come un fratello.» disse Paride.
Eirene si buttò tra le braccia del principe in lacrime.
«Mi manca tantissimo, lo penso ogni singolo giorno. Dovevo esserci io al suo posto.» Singhiozzò la ragazza. Paride la strinse forte, e restarono così a lungo, ma dopo un po’ si dovette sciogliere dall’abbraccio di Eirene.
Quando Paride fu sulla porta la ragazza disse poche parole, ma fecero uscire il primo sorriso sincero sul volto del principe.
«Grazie di avermi chiamata Ciril.» disse la ragazza che era tornata a guardare i festeggiamenti fuori dalla finestra.
«Sapevo che ti avrebbe fatto piacere.» e il principe uscì dalla stanza.

Eirene si stava allenando con la spada che aveva sottratto ad Achille, come ogni sera, da sola da quando l’avevano rinchiusa in quella stanza. Stava ripassando le mosse basi quando sentì un rumore di legno che cadeva che la distrasse.
Pose la spada e rimase in ascolto.
Dopo un paio di minuti sentì dei passi sulla strada. Si affacciò alla finestra e vide centinaia di guerrieri uscire dal ventre del cavallo di legno.
«Sapevo che era stato tutto troppo semplice!» esclamò la ragazza. Ma guardando la scena un guerriero la colpì maggiormente.
Agile.
Aggraziato.
Veloce.
Abile.
Achille.
La rabbia cominciò a crescerle dentro. Senza neanche pensarci Eirene prese la spada e se la legò in vita, poi  uscì dalla finestra come aveva fatto il giorno del funerale di Ettore.
“Dal basso sarà più difficile individuarlo, devo stare attenta ai suoi movimenti.” Disse saltando dalla finestra del secondo piano, atterrando in piedi e correndo verso la direzione presa da Achille.
Il vestito nero che usava per allenarsi le svolazzava sulle gambe, ma era silenziosa e agile come un gatto.
Arrivata alla piazza dell’Agorà, le tornò in mente il suo ultimo giorno da Ciril, quando aveva detto la verità a Ettore, e lui l’aveva rinchiusa in una stanza.
Quel ricordo si sovrappose a quelle di quando era piccola e giocava felice con Paride e Ettore a nascondino felice e spensierata. Poi il pensiero volò a suo padre che la aspettava sempre a casa pronto a stringerla forte e ad allenarla e a correggerla quando sbagliava. Suo padre era un grande guerriero, e l’unica cosa che desiderava più al mondo era un figlio maschio, ma il destino gli aveva destinato qualcos’altro, una femmina.
Sua madre si sbagliava quando diceva che il padre pensava solo a se stesso. Menos era altruista e aveva sempre trattato bene la figlia e la moglie, non gli aveva mai torto un capello. Era contento quando la figlia era felice, però era severo quando serviva, senza mai alzare la voce le faceva capire tutto. Era merito suo se era diventata la più grande guerriera di Troia, purtroppo non aveva vissuto abbastanza per vedere il suo grande trionfo.
Riaffiorò il ricordo della morte del padre. Lei aveva quindici anni e aveva imparato tutto quello che sapeva il padre, l’aveva superato, così il padre aveva deciso di festeggiare con il figlio quel grande traguardo. L’aveva portata fuori dalle mura, a caccia, per fare anche una sorpresa alla moglie.
«Ricordati,» le aveva detto suo padre. «Gli animali sono furbi, ti sentono arrivare a miglia e miglia di distanza, e un bravo guerriero è più furbo di loro e li inganna. Pensi di potercela fare?»
La ragazza aveva annuito forte con l’arco in mano.
Così, padre e figlia si erano avviati nel bosco.
Tutto poi procedette velocemente. Una freccia, un uomo, il padre, lei, sangue e morte.
La morte di suo padre.
Eirene fu veloce a lanciare la freccia e uccise anche l’altro uomo.
Quella fu la prima volta che vide due fili della vita spezzarsi, e da quel momento non smise più.
L’odore acre del fumo la portò bruscamente alla realtà. Attorno a lei si vedevano solo cadaveri di troiani. Si guardò intorno, ma la strada che aveva preso Achille era impossibile da capire.
“L’unica soluzione è tornare in alto.” Si disse Eirene correndo al fianco di una guardia che giaceva sui grandini che portavano alla parte superiore delle mura di Troia.
Gli tolse l’arco e la faretra piena di frecce che indossò, si mise l’arco a tracolla, poi cominciò a salire le scale.
I capelli e il vestito svolazzavano nella notte mentre lei correva alla ricerca di Achille.
Poi lo vide.
I guerrieri greci stavano entrando nella città, doveva sbrigarsi.
Era di fronte al tempio di Poseidone, e guardava la statua del dio.
Prese una freccia e la preparò sull’arco, era pronta a scoccarla, ma un lampo la distrasse e non prese bene la mira.
La freccia volò attraverso l’aria fresca della notte, e andò a conficcarsi nel tallone di Achille.
Eirene si stava maledicendo per aver preso male la mira, ma quando tornò a guardare il tempio, il corpo del guerriero era accasciato al suolo.
La ragazza corse giù dalle mura e si diresse al tempio.
Quando arrivò Achille era sdraiato a terra e stava per morire, ma appena la vide cerò di tirarsi a sedere.
«Eirene…» sussurrò l’uomo. «Alla fine hai vinto. Sei bellissima, ti ho cercata durante la guerra, ma non ti ho vista…»
«Già, sono stata chiusa in una stanza tutto il tempo.»
«Si è avverato quello che pensavi…» sussurrò Achille. Eirene annuì.
«Ti ho colpito alle spalle, ho imbrogliato…» disse immobile la ragazza.
«Ti avevo vista inseguirmi, ti stavo aspettando, se avessi voluto difendermi avrei combattuto. Mi dispiace solamente di non aver potuto fare un duello con te, sei molto brava. Ma stai piangendo?» sussurrò Achille vedendo scintillare alla luce della luna e del fuoco delle piccole lacrime sul volto di Eirene.
«Io… ho ucciso molti uomini, ma non ho mai pianto per nessuno. Ti ho sempre odiato, ma… adesso… qualcosa è cambiato. Hai ucciso il mio migliore amico, e io pensavo di odiarti, ma adesso mi rendo conto che non è così…» quando Eirene guardò nuovamente Achille, lui era morto, gli occhi aperti la guardavano per l’ultima volta.
Guardò il suo viso e vide tutti quelli delle persone che aveva ucciso, vide tutti i fili tagliati, il sangue, le famiglie in lacrime, i figli che non potranno mai conoscere il padre, le mogli che non baceranno più i mariti, le madri e i padri che non potranno tenere stretti i figli, tutto la travolse con un onda incontrollata.
Vide anche Ettore, il suo sorriso, poi vide la moglie in lacrime e il figlio cresciuto solo.
Per ultimo vide Achille, era dalla parte opposta del fiume, finalmente dall’altra parte, e la guardava sorridendo. –Ci incontreremo di nuovo.- le diceva. –Ti aspetterò.-
I volti scomparvero, rimase solo quello del semidio.
«Anche a me dispiace di non aver combattuto con te.» disse chinandosi a chiudergli le palpebre, e le sue lacrime bagnarono il viso di Achille.
Quando si alzò i soldati greci l’avevano circondata e la guardavano stupiti.
Eirene si asciugò le lacrime con il braccio ed estrasse la spada di Achille.
Iniziò la sua guerra.
La spada affondava nella carne dei soldati, e per la prima volta nella sua vita non vide tutti i fili della vita spezzarsi, perché ormai sapeva che tutti l’avrebbero aspettata nella riva opposta del fiume, ma sapeva anche che, ad aspettarla dall’altra parte c’erano i migliori guerrieri mai esistiti al mondo, e lei faceva parte di quel gruppo, e presto li avrebbe raggiunti.
Era sola.
Era una donna.
Ma prima di tutto era una guerriera.

spero che vi piaccia :)


Sono una creatura fatta di lettere, un personaggio disegnato da frasi, il prodotto di una fantasia scaturita dalla narrativa.
 

#2 2012-01-28 13:06:01

angel97
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

Wow *~* :D


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#3 2012-01-28 16:20:02

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

penso che voglia dire che ti piace! ne sn contenta :)
il fatto è ke, siccome nn ne ero contenta ne ho scritto un altro cn il finale diverso, solo che adesso nn so quale mi piace di più e chiedo il vostro aiuto per scegliere!


Sono una creatura fatta di lettere, un personaggio disegnato da frasi, il prodotto di una fantasia scaturita dalla narrativa.
 

#4 2012-01-28 16:21:45

Ancien joueur hilary149
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

Dio mio, si vede che ti piace scrivere, non sono stata a leggerlo tutto dato che e lungo un'infinita, questo vuol dire che ti sei impegnata a farlo e che quindi e straordinario ! ^^ COMPLIMENTI ! fete

HILA *.*

 

#5 2012-01-28 22:49:27

angel97
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

eynis ha scritto:

penso che voglia dire che ti piace! ne sn contenta :)
il fatto è ke, siccome nn ne ero contenta ne ho scritto un altro cn il finale diverso, solo che adesso nn so quale mi piace di più e chiedo il vostro aiuto per scegliere!

A me piace moltissimo *.*
Complimenti davvero !!


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#6 2012-01-30 18:24:45

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

allora, adesso vorrei postare il secondo testo, vorrei davvero che mi diceste quale preferite.
il primo pezzo è uguale, lo ricopio solo per farvi capire quale saltare se avete letto quello prima...

Si narra di un guerriero potentissimo. Era così potente che veniva paragonato ad Achille, il mitico guerriero immerso dalla madre, la ninfa Teti, nel fiume Stige, e che quindi era diventato immortale, il suo nome era Ciril.
Ciril era un guerriero di Troia, ma dentro di se nascondeva un segreto che avrebbe potuto rovinarlo per sempre.
Il guerriero aveva dei lunghi capelli neri che decorava con perline e trecce. Gli occhi erano dello stesso colore dei capelli, neri come il carbone, come le notti d’inverno.
Consigliere ed amico di Ettore era l’unico che era stato in grado di sconfiggere il principe.
Combatteva sempre in prima linea e, il suo metodo nell’usare la spada era unico, nessuno gli resisteva.
Tranne Achille.
Era l’unico guerriero che non era riuscito a sconfiggere. E quella guerra gli proponeva una grande possibilità.
Ettore naturalmente era contrario, un po’ perché voleva Achille tutto per se, un po’ perché aveva paura per l’amico, anche se forse doveva essere il contrario.
In quel momento i due uomini si stavano allenando con le spade. I due elmi ben calati sulle teste, le armature, gli scudi, e, naturalmente le spade, come in un vero duello. Ettore aveva sfidato nuovamente Ciril e lui stava giocando con l’amico come il gatto gioca con il topo.
«Questa volta ti sconfiggerò!» gridava il principe con la voce attuita dallo sforzo e dall’elmo.
«Fai con comodo, non ho nessun impegno per oggi.» gli rispose Ciril con la voce pimpante ed allegre come se stesse facendo una passeggiata invece che un duello.
«Come fai ad essere così riposato?» chiese stupito l’avversario, ma Ciril colse l’occasione di distrazione dell’amico e con un colpo ben assestato gli fece volar via la spada dalle mani e gli puntò alla gola la propria.
«Non perdendomi in chiacchiere inutili!» gli rispose abbassando l’arma e girandosi verso un tavolino per prendere un calice con del vino.
Ma Ettore approfittò di quel momento per recuperare la spada e puntarla alle spalle dell’amico, che con uno scatto fece cadere il calice, rovesciando il liquido rosso su tutto il pavimento, ed estraendo la spada che puntò al collo dalle spalle dell’amico.
Quello, che non voleva arrendersi, si girò, procurandosi un taglio rosso sul collo, e tirò un fendente dove doveva esserci Ciril, ma il guerriero si era piegato sulle ginocchia per evitare il colpo, e adesso si stava alzando per controbattere alle mosse di Ettore.
Dopo tante mosse e cozzar di spade, quella del principe volò lontana sul pavimento.
«Basta, ha vinto…» disse senza fiato l’amico. «Ma come fai?» chiese l’amico mentre si appoggiava all’elsa della spada per riprendere fiato.
«Che noia! Sempre la stessa domanda! Non sai accettare il semplice fatto che io, sono più bravo di te?» chiese Ciril guardando Ettore negli occhi. «No eh? Comunque sei migliorato, ma fai ancora troppo rumore! Quando hai recuperato la spada, ed io ero di spalle, ti ho sentito alzarti e prendere l’arma. Poi sei prevedibile! Va bene che bisogna seguire il tuo “manuale”, ma se continuerai così, tutti capiranno la tua mentalità e anticiperanno le tue mosse!» sospirò Ciril. «Ma questa non è la prima volta che te lo dico, vuoi fartelo entrare in quella testa? Comunque, ti concederò la rivincita, se vuoi perdere ancora!» rise l’amico, e tornò al tavolo per bere il suo bicchiere di vino.
«Adesso basta Ettore! Ci siamo allenati abbastanza per oggi, e poi, sono stanco anche io.» disse rivolto al principe che era andato a recuperare la spada. Incredulo la lasciò cadere sul pavimento.

«Sei pronto?» chiese Ciril a Paride. «Ho sentito che vuoi affrontare Menelao, stai attento, è un guerriero forte, e la furia è dalla sua parte.»
«Grazie Ciril, terrò presenti i tuoi consigli.» poi il ragazzo, sentendo la voce roca dell’amico del fratello, pose la domanda che fece andare nel panico il guerriero. «Ciril, ma per caso sei malato? La tua voce è roca e… sembra quella… non so… quella di una donna…»
Gli occhi neri si spalancarono mostrando tutto il suo stupore, e, per un attimo negli occhi neri si vide lo stupore, e per un attimo, negli occhi neri si vide il panico. «Sì, ho preso il raffreddore, e adesso ho la voce rauca, ma sto usando un rimedio infallibile che tra poco mi farà tornare come nuovo. Adesso scusami, ma devo andare a prepararmi.» disse salutando Paride e andandosene il più lentamente possibile e cercando di mantenere la sua andatura normale, mentre tenera a freno tutti i muscoli per non farli correre.
Quando arrivò dentro la sua camera si diresse verso una colonna contrassegnata da innumerevoli tacche.
Scorse con il dito le varie file fino ad arrivare all’ultima. Contò le incisioni più e più volte.
Erano ventuno.
La pozione era scaduta già due giorni prima, ma la fatica e la guerra l’avevano camuffata, ora , che era riposato, la sua voce era tornata normale.
Con mani tremanti corse a un mobiletto basso vicino al letto e fece cadere tutte le boccette, fino a che non ne trovò una di terracotta, molto semplice, ma che lo aiutava a nascondere il suo segreto.
Tolse il tappo e bevve il liquido trasparente che gli scese lungo la gola come fuoco ardente.
“Non mi abituerò mai a questa sensazione!” pensò Ciril trattenendo a stento un urlo di dolore per la pozione che aveva bevuto e che gli bruciava in gola.

«Uomini! In marcia!» tuonò il solito vocione forte verso i suoi guerrieri
«Ehi!» esclamò Paride che l’aveva ritrovato nella folla. «Quel medicinale e fantastico! Dovrai assolutamente prestarmelo quando mi ammalerò anche io!»
Ciril, preso alla sprovvista sobbalzò e pose la mano sull’elsa della spada.
«Paride, sei pronto? Vuoi che ti dia qualche altra dritta per affrontare Menelao?» chiese per distrarre il principe dalla sua voce.
«No, grazie, penso di essere pronto.»
«Bene, allora buona fortuna.» esordì guidando i guerrieri fuori dalle mura di Troia.
Usciti dalla città i suoi soldati si misero davanti, come in tutte le battaglie. Di fronte a loro c’erano solamente i due principi.
Quando il duello cominciò, Ciril sapeva già che per Paride non c’erano speranze.
Il secondo genito era nel fiore dei suoi anni, anche lui aveva vent’anni, quindi erano più o meno coetanei, ma non era stato educato per combattere un duello con Menelao. Sapeva le mosse basi, giusto per difendersi.
Paride, aveva intuito Ciril, aveva deciso di battersi con Menelao perché si sentiva in colpa per aver fatto cominciare la guerra portato Elena a Troia, quindi aveva giocato con i sentimenti.
Quando Paride andò a rifugiarsi dietro le gambe di Ettore, Ciril aveva già previsto tutto.
Guardò con entusiasmo la morte di Menelao e la faccia del fratello quando vide il corpo esamine cadere al suolo.
“Quello era un uomo spietato e ha trovato la giusta punizione…” pensò Ciril.
Ettore mise il fratello su un cavallo e lo fece rientrare in città, per poi fare avanzare i suoi guerrieri verso le armate greche.
Ciril sguainò la spada e si buttò nella mischia, come era solito fare.
Affondava la spada nel corpo di un avversario e vedeva la sua vita, la sua famiglia, quello che lo aspettava a casa. Era così per ogni soldato a cui tagliava il sottile filo che lo teneva legato alla terra dei vivi.
Destra, sinistra, avanti e dietro, i colpi arrivavano da tutte le direzioni.
Poi ad un tratto lo vide.
Suo padre. Gli apparve davanti agli occhi nella sua armatura lucente, colui che gli aveva insegnato tutto, colui che amava, colui che l’aveva lasciata sola troppo presto.
Si fermò nel centro della guerra, fece cadere la spada e lo scudo.
Immobile nell’inferno.
Quel gesto attirò l’attenzione di Ulisse, che arrivò da dietro e affondò l’arma nella spalla di Ciril. Caduto a terra, stava per dagli il colpo di grazia, ma commise l’errore di guardarlo negli occhi. I suoi profondi e neri occhi. Ulisse si sentì risucchiato da quegli occhi sbarrati.
Intanto Ciril, con gli occhi appannati, guardava il padre, cercando di digli qualcosa, qualsiasi cosa, ma una fitta lancinante alla spalla sinistra gli squassò il corpo.
Un urlo muto gli uscì dalle labbra.
Il padre lo guardava, gli occhi dello stesso nero di quelli del figlio. Ad un certo punto il padre si avvicinò e se lo caricò sulle spalle.

Quando Ciril cercò di muoversi una fitta lancinante glielo impedì. Cercò allora di muovere braccia e gambe, ma erano prontamente legate.
Aprendo gli occhi vide solo buio.
«Vedo che ti sei svegliato.» disse una voce nell’oscurità.
«Chi sei?» chiese la voce di Ciril piena di dolore.
«Come, non mi riconosci?» chiese la voce accendendo un piccolo fuoco che bastò a illuminare l’intera stanza.
Si trovava in una piccola tenda, e lui era sdraiato su un letto di stracci. Quando il fuoco si fece più grande Ciril fu in grado di vedere la persona che gli stava parlando. «Tu?!» esclamò il ragazzo.
«Sì, io. Stupito? Ti aspettavi per caso qualche bella fanciulla?»
«Stronzo! Lasciami andare subito!» gridò la voce di Ciril piena di rabbia e dolore.
«E perché dovrei lasciarti andare? Sei così un bel bottino di guerra! In questo momento Ettore si starà disperando per la tua perdita, ti crederà morto, cosa che sarai tra poco. Ma prima ti torturerò un po’, sai vorrei proprio fargliela pagare per aver ucciso mio fratello.»
«Tuo fratello si meritava tutto quello che gli è successo, e anche peggio!» gli gridò Ciril.
«Ah, davvero? Vediamo se la penserai ancora in questo modo!» disse avvinandosi al letto di stracci e appoggiando il piede sulla ferita alla spalla del ragazzo.
«Sempre!» disse Ciril in una smorfia di dolore.
Agamennone usò tutto il suo peso e spinse ancora di più il piede sulla ferita.
Questa volta il ragazzo non poté trattener l’urlo di dolore.
Il re rise felice.
Ma Ciril lo sorprese sputandogli sul piede poggiato sulla ferita.
Agamennone gli sferrò un calcio sul volto facendogli sanguinare il naso e rompendogli il labbro.
«Sai, non è giusto che io tenga tutto per me questo magnifico spettacolo, penso che ti condividerò con tutti i soldati, sai, con la guerra il morale è molto basso, e un bello spettacolo come te è proprio quello che ci vuole.» esordì dopo averci pensato un po’ su. Allora lo fece alzare di peso e lo portò fuori dalla tenda dove il sole stava calando all’orizzonte.
Molto probabilmente aveva già deciso che avrebbe fatto un’esecuzione pubblica, perché lo portò al centro di uno spiazzo nel mezzo dell’accampamento.
Furono accesi dei fuochi e Ciril fu legato ad un palo nel centro dello spiazzo, e più calava il sole, più arrivava gente.
Ormai lo spiazzo brulicava di uomini, impazienti di vedere e partecipare allo spettacolo.
«Guerrieri, vi presento… il grande Ciril di Troia!» esordì Agamennone.
Si levò un grande urlo di gioia.
«Chi vuole cominciare?» chiese il re ai propri uomini appena il brusio si fu calmato.
Dopo un attimo, un uomo si avvicinò a Ciril con un ferro arroventato. «Di cicatrici ne hai molte, se ne avrai una in più o una in meno non si noterà la differenza.» e, dicendo così gli posò il ferro sul braccio. Il ragazzo strinse i denti per non far contento l’uomo e il suo pubblico con le urla di dolore. In molti gli passarono il ferro arroventato su braccia e gambe, altri gli venivano a sputagli in faccia, altri lo riempivano di calci, sberle e pugni.
«Braccia e gambe non provano alcun dolore, dovete passare a qualcos’altro.» disse una figura nell’ombra.
«Achille! Vuoi partecipare anche tu?» chiese Agamennone con un po’ di riluttanza verso il più grande guerriero del suo esercito. La figura uscì dalla massa di corpi e si diresse al centro dello spiazzo.
Prese tra le mani il viso di Ciril, lo girò dall’una e dall’altra parte, guardando i lividi causati dai pugni e dagli schiaffi.
Lasciò ricadere la testa e si dedicò a braccia e gambe. «Come mai vi siete dedicati solo a queste parti del corpo?» Agamennone alzò le spalle indifferente.
Allora Achille iniziò a slacciare la casacca sporca di sangue del ragazzo, ma in quel momento Ciril si riprese e tirò una poderosa testa ad Achille.
L’uomo barcollò indietro, ma appena si riprese dallo shock, gli tirò un calcio nella pancia così forte da farlo piegare in due.
“Sta nascondendo qualcosa…” pensò Ulisse che nascosto dalla folla guardava il guerriero sputare sangue. Al re di Itaca non piacevano quegli spettacoli crudeli, ma si obbligò a guardarlo.
Mentre guardava il ragazzo soffrire si chiese come avesse fatto a farsi manipolare così da due semplici occhi, ma la risposta rimaneva nascosta da qualche parte nella sua mente.
Anche Achille aveva intuito qualcosa.
«Tu!» e indicò un soldato. «Tienigli ferma la testa!» l’uomo si precipitò dietro al palo a tener ferma la testa di Ciril.
Il ragazzo si dimenava mentre Achille gli toglieva la camicia.
«Lasciami!» gridava il ragazzo sputando sangue.
«Sai, ti ho osservato, sei stato calmo e silenzioso fino a adesso, come mai ti stai agitando così tanto ora?» poi avvicinandosi all’orecchio di Ciril gli chiese: «Hai per caso qualcosa da nascondere?» il ragazzo si immobilizzò. «Bene! Hai ritrovato la calma, finalmente!» esordì Achille con un sorriso sulle labbra.
“Non c’è più niente da fare, ormai è finita.” Pensò Ciril abbassando gli occhi neri.
Achille continuò a slacciagli la casacca. Quando fu tolta sul petto di Ciril si vedeva una fasciatura bianca che gli copriva la maggior parte del torace.
«Guarda, guarda…» esclamò Agamennone facendosi più attento. «La cosa si fa interessante…»
Achille estrasse da un fodero un pugnale che usò per tagliare le fasciature, che quando furono tolte, (immaginatelo...)
Dagli uomini si levò un’esclamazione di stupore.
Agamennone si avvicinò al palo. «Così, il più grande guerriero di Troia e… una donna?» chiese il re con voce divertita. «Dimmi il tuo nome, donna!»
«Si dice che quando una persona conosce il tuo nome, ha in mano la tua vita, perché dovrei dirtelo?» chiese la donna con la testa china.
«Perchè te lo ordino!» esclamò Agamennone puntandole la spada alla gola.
La ragazza scoppiò in una fragorosa risata. «Uccidimi, uccidimi pure! Tanto, quando tornerò a Troia mi toglieranno tutti i miei gradi e, molto probabilmente mi rinchiuderanno in una stanza a fare quello che secondo voi devono fare le donne.»
«Dillo a me.» disse Achille, e all’uomo che si trovava dietro alla ragazza fece segno di slegarle i polsi e le caviglie.
«Mi chiamo Eirene.» disse semplicemente la ragazza quando fu libera.
Achille le passò la sua casacca, e lei la prese con uno strattone e la indossò il più in fretta possibile per coprirsi.
«Perchè mi hai rivelato il tuo nome?» le chiese Achille.
Eirene gli si avvicinò e gli sussurrò: «Così saprai il nome di chi ti ha ucciso.» e un grosso sorriso le si aprì sul viso pieno di lividi e sangue.
“È bellissima anche così…” pensò il guerriero che la stava guardando. Lei colse quell’attimo di distrazione e prese la spada di Achille dal fodero e la puntò su di lui.
«Ma non oggi.» disse la ragazza ad alta voce.
Agamennone scoppiò a ridere. «Cosa vuoi fare, tu, da sola, contro un intero esercito, donna?»
Lei scoppiò a ridere a sua volta. «Re stupido e ingenuo! Sai solo guardare le apparenze! E morirai per questo, perché io sono una donna, ma ho ucciso gran parte del tuo esercito di uomini. In questo momento potrei già essere a Troia e tu su una pira funebre!» gridò la guerriera.
Agamennone ribolliva di rabbia e indignazione, e con un gesto nascosto fece segno a un arciere che scoccò una freccia contro Eirene.
Lei si girò verso l’arciere e prese la freccia al volo, dopodiché la lanciò e la freccia si andò a fermare sul collo dell’uomo con l’arco che cadde a terra in una pozza di sangue. Eirene vide ancora il filo della vita dell’uomo spezzarsi.
Cercò di mascherare l’orrore che provava ogni volta che uccideva  un uomo, ma le riuscì molto difficile, e allora, l’orrore per se stessa si mescolò al dolore corporeo.
Intanto gli spettatori la guardavano stupiti e con orrore.
«Troppo rumore.» disse solamente Eirene. «Mi lasciate passare o devo uccidervi?» chiese agli uomini in cerchio. Subito i guerrieri si spostarono per farla passare. «Bene, arrivederci Achille, ci rincontreremo molto presto.»
«Lo spero Eirene, lo spero.» disse il guerriero che era l’unico rimasto impassibile.
Eirene cominciò ad incamminarsi verso Troia, e nessuno la fermò.

«Aprite!» gridò Eirene. «Sono Ciril!» le porte delle mura della città girarono sui cardini e si aprirono lentamente.
Appena fu dentro la città Ettore gli corse incontro, ma Ciril lo fermò prima che l’amico lo abbracciasse.
«Ciril! Sei vivo! Non sai quanto ero preoccupato per te!»
«Ettore, grazie, ma non metterti a piangere, ti prego, non lo sopporterei.»
«Sei sempre il solito!» disse Ettore, poi lo guardò. «Ma tu sei ferito!» gridò guardando la casacca macchiata di sangue.
«Non è niente, ho solo bisogno di vedere mia madre.» disse il ragazzo avviandosi verso la sua camera.

«Eirene! Sei viva! Grazie a Dio! Sapevo che non dovevi diventare un guerriero! Stavo per morire dalla paura!» esclamò una donna con i capelli neri con qualche ciocca bianca e gli occhi verdi appena vide entrare la figlia nella camera.
«Madre, calmatevi. Non è successo nulla. Ho solo bisogno che voi mi medichiate.» disse Eirene togliendosi la casacca e lasciando vedere n profondo taglio sulla spalla sinistra, le innumerevoli bruciature i il livido sull’addome dove Achille l’aveva colpita.
«Mio Dio! Come ti hanno conciata!» esclamò la donna portandosi le mani alla bocca.
«Non fanno male madre, però vanno pulite.» la tranquillizzò la figlia.
«Ma…» la ragazza zittì la madre con un gesto, e la donna cominciò a pulirle le ferite.
«È tutta colpa di tuo padre!» esclamò la donna dopo un po’ senza darsi per vinta.
«Madre…»
«No, è vero! È tuo padre che voleva n maschio! Ed è stato lui a volerti educare alla spada! Non ha pensato alla tua vita, ma solo a ciò che voleva lui, come sempre…»
«Ma a me piace madre! Usare la spada è l’unica cosa che mi esce bene!»
«Perché non hai potuto imparare niente altro Eirene. A quest’ora mi avresti dato dei nei nipotini, e tu avresti n marito, se solo tua padre non avesse pensato solo a se stesso.»
«Madre…»
«Ho capito, ho capito, la smetto.» disse la donna continuando a medicare le ferite della figlia.
«Ho finito.» disse la donna quando la ferita fu fasciata e sulle bruciature fu messo un lieve strato di unguento per alleviare il dolore.
«Grazie madre.» disse Eirene, poi chiamò un servo.
«Vai a dire al principe Ettore che domani lo aspetto nella piazza dell’Agorà quando il sole sarà allo zenit per un duello.»
La madre sentì il messaggio e corse nuovamente dalla figlia.
«Ma cosa fai? Sei ferita e stanca e…»
«Madre, Agamennone ha scoperto il segreto. Appena ne avrà l’occasione lo dirà a tutti, e io non voglio dagli questa possibilità. Lo dirò io per prima, anche se questo vuol dire rinunciare alla guerra e a tutto quello che mi sono costruita.» disse prendendo tra le sue le mani della madre.
«Ti potrebbero uccidere…» mormorò la donna con le lacrime agli occhi.
«Madre, non ho paura di morire, e se Ettore mi farà uccidere vuol dire che non è un vero amico.»
«Ma…» cercò di obbiettare la madre.
«Madre, ho deciso, non puoi farmi cambiare idea.» guardò la donna e le sue lacrime scenderle sul volto. Alzò la mano e gliele asciugò.
«Adesso vado a dormire, sono stana e devo prepararmi per domani.»
«Buona notte Eirene.»
«Buona notte madre.»

Il sole era lato nel cielo e Ettore era al centro della piazza e aspettava Ciril.
La gente si era radunata tutto intorno alla piazza e voleva vedere la bravura del guerriero-leggenda.
Una figura incappucciata si avvicinò al centro della piazza.
«Sei in ritardo Ciril.» gli sorrise Ettore.
«Mi sono dovuto preparare per l’occasione, e poi, sono ferito se non ricordi, spero che almeno così tu possa vincere.» rise il ragazzo.
«Già, lo spero anche io.» sorrise il principe. «Non ti togli il mantello Ciril?» chiese Ettore vedendo che l’amico non si toglieva il pezzo di stoffa nera che gli copriva il volto.
«Mi hanno conciato abbastanza male, non vorrei spaventare qualcuno. Volgiamo cominciare?»
Ettore annuì e sguainarono le spade all’unisono, il duello cominciò.
Destra, sinistra, avanti, i colpi arrivavano potenti e a Ciril doleva la spalla, le ustioni e il livido che era diventato violaceo sulla pancia gli rendeva difficile qualsiasi movimento, per non parlare del mantello che gli impediva i movimenti.
«Sei stanco?» chiese Ettore.
«No, e tu?» chiese il ragazzo con il fiatone.
«No.»
«Bene.» disse Ciril.
Affondo, parata, salto, abbasso. Colpo.
Affondo, parata, salto, abbasso. Colpo.
«Oggi sei tu quello che segue il “manuale” Ciril.»
«Voglio solo darti un po’ di vantaggio.» ansimò il ragazzo.
Ettore non la pensava così, ma rimase in silenzio.
“Adesso basta! Non posso resistere a lungo. Devo vincere, e subito!” pensò Eirene stanca morta.
Il guerriero andò a cercare nella sua mente l’immagine di uno scrigno pieno di polverina nera che era l’energia che usava solo quando era all’estremo delle forze. Quando fece scattare il lucchetto invisibile del cofanetto facendo uscire la polverina il suo corpo si animò di una nuova energia e cominciò a combattere veramente.
Parata, capriola, affondo, spalla, ginocchio, fianco, salto. Colpo.
In men che non si dica la spada di Ettore volò lontano e Ciril puntò la sua al cuore dell’amico con il palmo sull’estremità dell’elsa, come se volesse affondarla nel cuore del principe.
«Amico, mi vuoi bene?» gli chiese il ragazzo.
«Che domande, certo! Ti voglio bene come se tu fossi mio fratello.» gli rispose Ettore guardandolo stupito negli occhi.
«Non lasceresti mai che mi facessero del male?» chiese ancora il giovane.
«Mai.»
Ciril mise nel fodero la spada, si slacciò il mantello e si tolse il cappuccio facendo cadere la stoffa nera. Sotto portava un vestito bianco che le arrivava alle ginocchia. Il corpetto si incrociava sul seno e sulla schiena formava una X. La spalla sinistra era fasciata, e le braccia e le gambe nude facevano vedere i segni rossi delle bruciature. Quando alzò la testa il viso, che era stato pulito, mostrava alcuni lividi violacei e dei tagli, tra cui, i più evidenti e brutti, uno sotto l’occhio, uno sul labbro superiore, e uno sulla fronte. I capelli neri erano stati puliti e brillavano alla luce del giorno. Erano stati acconciati con perline e  trecce, come al solito, ma in quel momento formavano un’acconciatura complessa e tipicamente femminile.
Ettore la guardava con occhi sbarrati.
«Io sono Eirene, figlia di Menos.»
«Impossibile. Eirene è morta appena nata, lasciando solo Ciril come figlio a Menos.» disse Ettore sicuro di se.
«No, Ciril non è mai nato. Io non ho un gemello, ma mio padre ha sempre desiderato un maschio, e allora, non avendone avuto uno, ha deciso di crescere me come guerriero, facendomi mascherare da Ciril, ma lui non esiste, sono solo io, Eirene, una donna.»
«Non è possibile! Ciril deve essere ancora da Agamennone! Deve averlo ucciso e tu stai cercando di prendere il suo posto!» gridò Ettore portandosi le mani alle orecchie in preda alla frustrazione.
«Non cercare di aggrapparti a false speranze, sono io Ciril, solo che non sono mai stata quello che sono. Poi pensa, chi altro ti può sconfiggere?» chiese la ragazza, con la voce che le si addolciva sempre di più.
«Nessuno.» sussurrò il principe. «Perché non me l’hai detto?» chiese infine il principe urlando alla ragazza.
Eirene si mise a ridere. «Secondo te sarei arrivata fino a questo punto se aveste saputo che ero una donna?» il principe scosse la testa. «Appunto. La spada è la mia vita, lo sai bene anche tu, se un altro principe mi chiedesse di rinunciare a combattere perché sono una donna non accetterei, lo sai benissimo, piuttosto combatterei contro tutta l’armata di quel principe, ma se sarai tu a chiedermelo, so che non sarà solo un principe a chiedermelo, ma sarà anche il mio migliore amico, e quindi non mi opporrò, fai la tua scelta.»
«Perché me l’hai detto?» chiese allora Ettore modificando la domanda. «Potevamo fare andare avanti tutto come prima, senza che io sapessi la verità.»
«Mentre mi torturavano, ieri, Agamennone lo ha scoperto, e io non volevo dagli la soddisfazione di fartelo dire da lui.»
«Io…»
«Fai quello che ritieni giusto,» disse Eirene senza neanche farlo finire di parlare. « ma ricordati che io, prima di essere una donna, sono una risorsa importante per la guerra, perché senza di me non la vincerete.»
Ettore chiamò due guardie. «Mi dispiace.» furono le uniche parole che le disse il principe. «Portatela via!» Eirene, come promesso, non si oppose, ma grosse lacrime le rigavano il volto.
La ragazza rimase chiusa in una camera per tutto il resto della guerra.

Guardò entrare dalla finestra, un cavallo gigantesco attraverso le mura della città. Osservò i festeggiamenti dalla finestra.
Non aveva ricevuto visite, non le facevano neanche vedere sua madre, che più di una volta aveva sentito piangere dietro la sua porta e pregare le guardie di farle vedere la figlia, ma gli ordini del principe erano stati molto chiari. Nessuno poteva vederla.
Ma quel giorno, al tramonto, qualcuno bussò, e lei fece entrare la persona senza neanche curarsi di chi fosse perché dal passo aveva già capito chi era entrato.
«Paride, perché da queste parti?»
«Ettore è morto.» disse solamente il principe.
«Lo so, lo ha ucciso Achille. Mi dispiace per te, e per tuo padre, e per sua moglie.» disse solamente continuando a guardare fuori dalla finestra.
«Ti dispiace per lui dopo che ti ha rinchiusa qui?» chiese stupito Paride.
«È stato troppo semplice, non mi convince…» disse la donna evitando la domanda.
«Perché non mi rispondi?» esclamò arrabbiato il principe.
Finalmente Eirene si girò. Il volto era guarito, i lividi erano scomparsi, e dei tagli rimanevano solo dei segnetti bianchi che accrescevano maggiormente gli occhi e i capelli neri. «E cosa dovrei risponderti? Io a tuo fratello volevo un bene dell’anima! Avrei dato la vita per lui! L’ho sempre creduto un ottimo amico, e lo è stato, ma non è colpa mia se sono nata donna e se non posso combattere! Io avrei fatto la stessa cosa! Ma non puoi chiedermi di odiarlo.» disse la ragazza con le lacrime agli angoli degli angoli degli occhi. «Non sai quante volte l’ho maledetto, e ho cercato di odiarlo, ma non ci sono riuscita! Ho maledetto il destino che mi ha fatto nascere così, e ho maledetto Ettore perché non è stato in grado di guardarmi altre a questo.» disse Eirene guardando il suo corpo avvolto che era avvolto in un vestito azzurro lungo fino ai piedi.
«Lui ha sofferto molto per quello che ha fatto. Ogni sera si allenava come quando c’eri tu con lui, faceva anche finta di parlarti! Mi faceva così pena.» disse avvicinandosi e prendendo le mani della ragazza tra le su, ma lei le ritrasse di colpo e si asciugò le lacrime.
«Non trattarmi così! Come aspetto sarò anche Eirene, ma dentro sono sempre Ciril, il guerriero, il più bravo di tutta Troia, che voi vogliatelo ammettere oppure no!»
«Tu sei e sarai sempre la più brava.» disse Paride allontanandosi.
«Perché non mi avete fatto partecipare alla guerra? Perché Ettore non è mia venuto a trovarmi? Non ho neanche potuto partecipare al suo funerale, non mi hanno fatto uscire… per… niente… come se fossi una prigioniera…»
«Ciril, non sai quanto Ettore abbia voluto venire a trovarti, ma nostro padre glielo ha impedito, non sai quante volte si è pentito di essere stato così superficiale, tu per lui eri come un fratello.» disse Paride.
Eirene si buttò tra le braccia del principe in lacrime.
«Mi manca tantissimo, lo penso ogni singolo giorno. Dovevo esserci io al suo posto.» Singhiozzò la ragazza. Paride la strinse forte, e restarono così a lungo, ma dopo un po’ si dovette sciogliere dall’abbraccio di Eirene.
Quando Paride fu sulla porta la ragazza disse poche parole, ma fecero uscire il primo sorriso sincero sul volto del principe.
«Grazie di avermi chiamata Ciril.» disse la ragazza che era tornata a guardare i festeggiamenti fuori dalla finestra.
«Sapevo che ti avrebbe fatto piacere.» e il principe uscì dalla stanza.


Sono una creatura fatta di lettere, un personaggio disegnato da frasi, il prodotto di una fantasia scaturita dalla narrativa.
 

#7 2012-01-30 18:26:30

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

ecco la seconda parte :)

Eirene era tormentata dagli incubi. Sognava i guerrieri greci che uscivano dal ventre del callo di legno, che bruciavano la città, che rendevano Troia un inferno.
Sognava Achille che entrava nelle case e cercava, cercava qualcuno, il volto contratto in una smorfia di paura.
L’odore acre del fumo le riempì facendola tossire e svegliare.
Le lenzuola del letto erano fradice, e la stanza piena di fumo. Rumore di legno che cadeva al suolo le rimbombava nelle orecchie.
“Sono ancora nel sogno… sono ancora nel sogno…” si ripeteva la ragazza.
“Rammollito! Alzati e vai a combattere!”
La testa di Eirene si alzò di scatto.
«Padre?» chiese al nulla.
“Alzati! Stanno bruciando la tua città! Stai diventando un rammollito, capito? Un rammollito! Da quanto tempo è che non combatti?”
«Tanto…» disse in un sussurro Eirene.
“Difendi la tua città!”
Eirene si alzò dal letto, indossò un vestito nero che le arrivava alle ginocchia e prese la spada che aveva sottratto ad Achille.
Si affacciò alla finestra, e un guerriero la colpì come uno schiaffo.
Agile.
Aggraziato.
Veloce.
Abile.
Achille.
La rabbia cominciò a crescerle dentro.
Eirene uscì dalla finestra come aveva fatto il giorno del funerale di Ettore.
“Dal basso sarà più difficile individuarlo, devo stare attenta ai suoi movimenti.” Disse saltando dalla finestra del secondo piano, atterrando in piedi e correndo verso la direzione presa da Achille.
Il vestito nero che usava per allenarsi le svolazzava sulle gambe, ma era silenziosa e agile come un gatto.
Arrivata alla piazza dell’Agorà, le tornò in mente il suo ultimo giorno da Ciril, quando aveva detto la verità a Ettore, e lui l’aveva rinchiusa in una stanza.
Quel ricordo si sovrappose a quelle di quando era piccola e giocava felice con Paride e Ettore a nascondino felice e spensierata. Poi il pensiero volò a suo padre che la aspettava sempre a casa pronto a stringerla forte e ad allenarla e a correggerla quando sbagliava. Suo padre era un grande guerriero, e l’unica cosa che desiderava più al mondo era un figlio maschio, ma il destino gli aveva destinato qualcos’altro, una femmina.
Sua madre si sbagliava quando diceva che il padre pensava solo a se stesso. Menos era altruista e aveva sempre trattato bene la figlia e la moglie, non gli aveva mai torto un capello. Era contento quando la figlia era felice, però era severo quando serviva, senza mai alzare la voce le faceva capire tutto. Era merito suo se era diventata la più grande guerriera di Troia, purtroppo non aveva vissuto abbastanza per vedere il suo grande trionfo.
Riaffiorò il ricordo della morte del padre. Lei aveva quindici anni e aveva imparato tutto quello che sapeva il padre, l’aveva superato, così il padre aveva deciso di festeggiare con il figlio quel grande traguardo. L’aveva portata fuori dalle mura, a caccia, per fare anche una sorpresa alla moglie.
«Ricordati,» le aveva detto suo padre. «Gli animali sono furbi, ti sentono arrivare a miglia e miglia di distanza, e un bravo guerriero è più furbo di loro e li inganna. Pensi di potercela fare?»
La ragazza aveva annuito forte con l’arco in mano.
Così, padre e figlia si erano avviati nel bosco.
Tutto poi procedette velocemente. Una freccia, un uomo, il padre, lei, sangue e morte.
La morte di suo padre.
Eirene fu veloce a lanciare la freccia e uccise anche l’altro uomo.
Quella fu la prima volta che vide due fili della vita spezzarsi, e da quel momento non smise più.
Per la seconda volta, l’odore acre del fumo la portò bruscamente alla realtà. Attorno a lei si vedevano solo cadaveri di troiani. Si guardò intorno, ma la strada che aveva preso Achille era impossibile da capire.
“L’unica soluzione è tornare in alto.” Si disse Eirene correndo al fianco di una guardia che giaceva sui grandini che portavano alla parte superiore delle mura di Troia.
Gli tolse l’arco e la faretra piena di frecce che indossò, si mise l’arco a tracolla, poi cominciò a salire le scale.
I capelli e il vestito svolazzavano nella notte mentre lei correva alla ricerca di Achille.
Poi lo vide.
Era di fronte al tempio di Poseidone, e guardava la statua del dio.
Scese le scale e si diresse al tempio.
Quando arrivò alle spalle del guerriero lui parlò.
«Eirene… ti stavo aspettando.» disse voltandosi lentamente.
Le si avvicinò, cauto e lento, e fece per cingerla in un abbraccio. Lei restò immobile, intontita dal suo odore, dalla sua pelle, dal suo sguardo, poi Achille le prese la spada dal fianco.
«Questa è mia.» poi aggiunse: «Finalmente ti vedo con qualcosa che ti rispecchia più dell’armatura.» disse il guerriero sorridendo.
«Sì, finalmente ho trovato il mio stile.» disse la donna seria.
«Non ho partecipato alla guerra e sono rimasta chiusa in una stanza, ma non vuol dire che le mie orecchie non sentano più.» disse. «Fai uscire i tuoi uomini da dove si nascondono, fanno troppo rumore.»
Achille, con un gesto spazientito, fece segno di uscire ai propri uomini.
Ne uscirono una cinquantina, tutti con un arco puntato verso di lei, e si disposero in cerchio intorno ad Eirene e Achille.
«Cos’è, hai paura ad uscire senza scorta?» chiese la donna prendendo in giro Achille.
«Sei pericolosa.»
«Grazie!» esordì Eirene.
Il primo arciere scoccò la freccia da sinistra.
Eirene la vide con la coda dell’occhio e si abbassò per schivarla, la freccia andò a finire nel petto dell’uomo dalla parte opposta.
Filo che veniva rotto.
L’inferno di frecce cominciò.
Achille era rimasto al centro del cerchio, non si era spostato, e come lei, schivava le frecce che arrivavano da ogni direzione.
Continuarono a lanciare frecce, quelle che non colpivano i due guerrieri andavano a fermarsi nel corpo del soldato che si trovava dalla parte opposta. Fili e fili si spezzarono in pochi istanti.
Quando le faretre furono vuote solo un soldato rimase vivo. Eirene appena se ne accorse, veloce prese una freccia dalla faretra, che portava dietro la schiena, e la posizionò sull’arco, lasciò la corda dell’arma, e la freccia si fermò nel centro della fronte dell’uomo.
Filo spezzato.
Eirene e Achille si guardarono negli occhi. Nessuno dei due era ferito. Gli occhi neri si persero in quelli dell’uomo. Furono risucchiati nel suo pensiero, nel suo dolore, nella sua forza, nel suo coraggio.
Era immersa in quegli occhi quando sentì una freccia trapassarle la carne della spalla sinistra, dove si vedeva ancora la cicatrice del taglio di Ulisse, e una freccia le trapassò la gamba. In quel momento era totalmente uscita dallo sguardo di Achille.
Sentì arrivare la terza freccia, sapeva già che era quella della morte, ma non si mosse. Gli occhi fissi sulle frecce che le uscivano dalla spalla e dalla gamba, quando rialzò lo sguardo per vedere Achille di fronte a se, lui non c’era più. La freccia sibilava nell’aria, sempre più vicina.
All’ultimo momento qualcuno la prese in braccio e la spostò dalla traiettoria della freccia.

Quando aprì gli occhi l’accolse  la luce, una splendida e intensa luce mattutina. Quel chiaro le fece subito venir voglia di alzarsi e fare una passeggiata, o allenarsi con la spada, ma la fitta alla spalla sinistra e alla gamba la bloccarono.
«Devi stare ferma, Agamennone ti ha conciata per le feste.» disse una voce vicina al letto.
«Mmm…» mugugnò Eirene puntellandosi sul braccio sano per alzarsi.
Quando fu seduta si accorse di essere in una tenta molto spaziosa, e lei era seduta su un letto di pellicce. Guardò il fianco del letto dove era seduto Achille, poi si guardò il vestito nero che era strappato in prossimità della spalla e un grosso strappo arrivava fino all’inguine della gamba sinistra, dove si vedeva una fasciatura.
In quel momento si sentì molto imbarazzata. «Grazie per…avermi tolta dalla traiettoria della freccia…» mormorò rivolta all’uomo, e, intanto con la mano cercava di sistemarsi il vestito per non far vedere troppo.
Achille scoppiò a ridere. «Cosa credi, che non abbia mai visto una donna nuda?»
«Non penso che tu non ne abbia mai vista una, ma io non sono come le servette che ti fai dopo una battaglia.» disse la donna che aveva già dimenticato l’imbarazzo di poco prima.
«Già…» disse l’uomo prendendo una ciotola e allungando la mano verso la spalla di Eirene, ma la ragazza intercettò il movimento del guerriero, gli bloccò la mano e gli prese la ciotola dalle mani.
«Calmati!» disse Achille alzando le mani in segno di resa. «È solo un unguento per far rimarginare le ferite più velocemente.»
«Come faccio a sapere che dentro non c’è qualche veleno?» chiese dubbiosa Eirene.
«Se avessi voluto ucciderti saresti già morta.»
La ragazza ci ragionò su per un attimo, per poi arrivare alla conclusione che aveva ragione.
«Dove sono?»
«Nella mia tenda. Troia è stata conquistata e Agamennone sta festeggiando. Non sai che sfuriata ha fatto quando ti ho salvata, lo rifarei solo per vedere la sua faccia!» esclamò divertito Achille.
«Troia è… stata conquistata?» esclamò sbigottita Eirene.
L’uomo annuì.
«Non è vero, mi stai prendendo in giro. Io sono stata fatta prigioniera, e tu vuoi farmi passare dalla tua parte, ma io non…»
«Non ti sto mentendo, Troia è caduta veramente.» disse con voce secca Achille.
«Io… dovevo proteggerla! Ho fallito. Ho miseramente fallito!» esclamò la ragazza iniziando a prendere a pugni e a lanciare tutte le pelli che trovava a portata di mano.
Achille le prese le mani tra le sue. «Per quanto possiamo essere nemici, mi dispiace per te e per la tua città.» Eirene tolse le mani da quelle dell’uomo con uno scatto. «Non voglio la tua compassione, non ne ho bisogno! Tienila per te e… per… le tue donne di poco conto! Io sono una guerriera!» e, dicendo così si alzò dal letto, ignorando il dolore alla gamba e uscì dalla tenda.
Appena fu fuori una guardia la fermò puntandole una lancia al petto.
«Lasciami passare!» esclamò, ma l’uomo non si spostò. «Ti avverto, sono già arrabbiata per conto mio, non provocarmi e lasciami passare!» gridò Eirene, ma quello non si spostò. La donna lanciò un urlo, prese la lancia dalla punta, la tolse dalle mani della guardia e gliela piantò nell’addome. Quella cadde al suolo.
Filo spezzato.
Eirene ci passò attorno e disse al cadavere del guerriero: «Te l’avevo detto che ero arrabbiata.» e si diresse verso la spiaggia.
Quando vide il mare, azzurro e limpido, solcare la spiaggia, morbida e calda, si lasciò andare a tutte le emozioni che la tormentavano.
Rabbia. Dolore. Tristezza. Amarezza. Vergogna. Orgoglio.
Tutto le vorticava attorno rendendola un vulcano di sentimenti. Sentiva le lacrime scenderle piano sul volto, e con un gesto goffo le toglieva, lasciando una scia di sabbia sul viso.
Si alzò e cominciò a entrare nell’acqua.
Dietro di sei sentiva gli sguardi dei soldato greci che la guardavano con curiosità. Lei era un puntino nero nell’immensità di azzurro del mare.
Continuò ad avanzare lentamente nell’acqua, che piano le arrivò alla gamba, dove il sale le bruciava sulla ferita, e poi scese ancora, finche anche la ferita sulla spalla cominciò a pizzicarle.
“Non c’è niente di meglio del sale per disinfettare le ferite.” Pensava Eirene.
L’acqua la circondava non aveva vie di fuga, si era costruita una trappola.
Prese un bel respiro e si immerse.
Acqua, acqua, e solo acqua. Le piaceva stare lì nell’acqua limpida e pura, le sembrava di sbarazzarsi dei suoi omicidi, di tutto il sangue che aveva versato.
Intorno a lei i pesci scappavano. Qualcuno più coraggioso le girava diffidente intorno, la osservava con curiosità.

Intanto Achille, che aveva raggiunto la spiaggia, guardava l’acqua immobile.
«Da quanto tempo è giù?» chiese a Ulisse.
«Troppo.» rispose solamente lui.
«Dannazione!» Achille si stava per buttare in acqua, quando quella si mosse.

Le ferite le pizzicavano tremendamente, eppure, non aveva voglia di tornare in superficie.
“Chissà dov’è mia madre…” si chiese.
Non sapeva più nulla di lei.
Al dolore provocato dalle ferite si aggiunse quello dei polmoni che le martellavano nel petto, il cuore cominciò a batterle all’impazzata.
“Vuoi morire?” chiese una voce nella sua testa.
Eirene scosse la testa.
“Allora esci!”
E lei si diede un poderoso slancio e uscì fuori. La rima boccata d’aria fu come un sorso di acqua nel deserto.
Un po’ zoppicando e un po’ nuotando si diresse verso la riva.
Quando uscì dall’acqua sulle facce di tutti gli uomini, compreso Achille, si leggeva un’espressione di stupore.
Ulisse fu il primo ad avvicinarsi.
«Qual è il trucco?» chiese guardandola di sbieco. «Dovresti essere morta!» disse puntandole un dito contro.
Lei gli prese la mano e gliela girò dietro alla schiena. Ulisse gemeva dal dolore.
«Anche tu dovresti essere morto, eppure sei qua…» disse Eirene lasciandogli il braccio.
I capelli neri le incorniciavano il viso chiaro, il vestito nero si era attaccato al corpo e lascava vedere le sue sinuose forme.
«Achille,» disse. «ti sfido a duello.»
L’uomo che si era ripreso dallo stupore le rivolse uno sguardo severo. «Prima devi guarire Eirene.»
«Se Ciril ti avesse sfidato, ferito come me, avresti accettato?» chiese la donna.
«Sì…» mormorò Achille. Si era tirato la zappa sui piedi.
«Bene, io sono Ciril, non Eirene in questo momento, quindi do come accettata la mia sfida.» fece per andarsene, ma restò ferma sulla spiaggia.
«Dormirai nella mia tenda.» disse Achille.
«Se ci sei dentro tu, io non mi muovo.»
«Co… ti starò alla larga…» disse il guerriero provocando le risate generali da parte degli uomini.
Allora Eirene si diresse verso la tenda.

«Vai sul letto.» le disse Achille.
«Neanche per idea!» esclamò Eirene.
«Sei ferita, e io posso dormire da un’altra parte.»
«Non ho bisogno di pelli per dormire, e neanche le mie ferite.» esclamò corrucciata.
Achille si avvicinò e le prese il braccio sano conducendola al letto. Eirene cercò di divincolarsi, ma le ferite e la nuotata nell’acqua gelida le avevano tolto tutte le forze.
«Lasciami!»
«Tu dormirai qui!» le disse l’uomo in tono brusco.
«Non è giusto!»
«Così sembri una donnicciola, non una guerriera, e so che non è questa l’idea che vuoi dare di te.»
Eirene si zittì. Achille aveva colto nel segno.
La donna si sdraiò e si mise a dormire.
Quando Eirene si addormentò Achille, uscì dalla tenda.
«Allora, la ragazza da del filo da torcere.» disse Odisseo uscendo dall’ombra.
«Già, è più cocciuta di un mulo. Interpretava alla perfezione il ruolo di un uomo austero e potente.» rise piè veloce.
I due si diressero verso la spiaggia.
«Gli uomini ti prendono in giro, ti sparlano alle spalle, non ti vedono più come il loro vecchio comandante.» Ulisse si girò verso Achille e lo guardò negli occhi. «Fattelo dire da un amico Achille, stai cambiando, e anche molto, non puoi farti trattare così da lei, non sai neanche chi sia, potrebbe ucciderti nel sonno.»
«Io la amo Ulisse, come tu ami la tua Penelope.»
«È diverso, la mia Penelope è una donna vera, non ha mia fatto del male a nessuno, non ne ha il coraggio, ma lei, ha sempre ucciso, e continuerà a farlo perché non ha nessuno scrupolo. Lei non è la solita donna.»
«È proprio questo che amo di lei. Ho provato a stare con molte donne, ma questo suo essere così restia nei miei confronti e non aver paura di uccidere mi affascina, non ho mai conosciuto nessuno come lei, neanche un uomo…»
«So che ha una personalità affascinante, ma per il tuo bene, non mostrare in pubblico questa tua debolezza.» detto questo Ulisse se ne andò.

Achille si mise in un angolo della tenda a guardarla. A notte fonda, non riuscendo a trattenersi, l’uomo andò a sdraiarsi al fianco di Eirene. La ragazza si mosse disturbata, e Achille stava già per andarsene  quando la ragazza, in un dormiveglia gli appoggiò la mano sul torace e gli sussurrò: «Resta…» e l’uomo restò.
Quando l’alba li sorprese i due giovani, stavano dormendo vicini.
Eirene fu la prima ad alzarsi, si rinfrescò il viso e si soffermò a guardare l’armatura di Achille.
«Non la indosserò oggi.» disse l’uomo vedendo lo sguardo della donna.
«Non la indosserò perche tu non ne hai una.» continuò vedendo lo sguardo interrogativo della ragazza. La ragazza andò verso il suo vestito nero tutto sporco e rotto.
«Non penserai mica di indossare quello, spero!» esordì Achille alzandosi di scatto dal letto.
Eirene alzò le spalle. «Vedi qualcos’altro?» chiese.
L’uomo indossò una tunica e ne buttò una anche alla ragazza. Poi la prese per mano e la condusse fuori.
«Dove andiamo?»
«A Troia.»
Achille portò Eirene alla sua biga e spronò i cavalli verso quello che rimaneva della città. Troia era distrutta.
«Conducimi alla tua abitazione.» le disse l’uomo, ma Eirene era completamente persa. Le case, i templi, il palazzo, le piazze, tutto era bruciato, tutto era perduto, tutti i suoi ricordi,i suoi vent’anni di vita, i suoi giochi, i suoi amici, i suoi parenti, tutto era distrutto.
Achille fermò la biga, si voltò verso Eirene e la scosse dolcemente.
Le lacrime rigavano il suo volto, Achille gliele asciugò teneramente e l’abbracciò.
Eirene si riscosse prese le briglie dalle mani di Achille. «Ti porto io.»
Poco dopo si fermarono sotto la finestra della camera da dove era scappata. Scese dalla biga e iniziò a salire dalla finestra. Achille rise. «Salire dalle scale?»
«Mi devo esercitare.» si girò verso l’uomo che era rimasto accanto alla biga. «Non Sali?»
Achille seguì l’esempio della ragazza e cominciò a scalare la parete.
La camera era bruciata. Eirene si diresse verso l’armadio, anche i suoi vestiti erano bruciati.
«Qualcosa mi dice che questo,» e indicò la tunica. «sarà quello che utilizzerò per sfidarti.»
«Non ti sfiderò se non indosserai qualcosa di decente. Andiamo.» disse Achille. Eirene si stava dirigendo alla finestra. «Questa volta non da…» l’uomo non fece in tempo a finire la frase che la ragazza si era già buttata dalla finestra.
«Eirene!» esclamò Achille avvicinandosi alla finestra.
«Cosa aspetti!?» gli gridò Eirene dalla biga.
Sul volto di Achille si aprì un sorriso, e si buttò dalla finestra.
«Andiamo a palazzo.» disse appena salito dietro a Eirene.
La ragazza lo guardò accigliato e si portò una mano alla cintola.
«La spada non ti servirà.» le disse Achille, e si avviarono verso la strada che portava a palazzo.
Il castello non era distrutto. Si trovava in cima alla collina, e guardava il paesaggio triste e sconsolato di Troia bruciata.
Trovarono poche guardie, ma vedendo Achille non obbiettarono e li lasciarono passare verso la sala del trono.
Quando entrarono nella stanza le statue degli dei erano a terra, distrutte. Ma la cosa che la disgustò maggiormente fu vedere il cadavere di Priamo, il re, legato accanto al trono, e lì, svettava Agamennone.
«Ci rincontriamo mia dolce Eirene.»
Achille le pose la mano sulla spalla.
«Io non sono né dolce né tua.» sibilò velenosa la ragazza.
«È quello che pensi tu…» rise il re «Comunque, a cosa devo questa preziosa visita?»
Achille si fece avanti. «Ci servono degli abiti.»
«Pensavo che vi piacesse più stare senza…» ammiccò il re.
Eirene stava ribollendo dalla rabbia, ma Achille la guardò con un’espressione che diceva: “ è quello che vuole, non dagli questa soddisfazione.” Eirene si calmò.
«Hai ragione, ma per una volta volgiamo fare un’eccezione.»
Agamennone rise di gusto. «Bravo ragazzo, così mi piaci!» esordì il sovrano.
«Bene, dategli dei vestiti se è questo che vuole.» disse con un gesto non curante della mano a una serva. Quando questa si fece avanti Eirene lasciò vedere tutto il suo stupore.
La serva era sua madre.
Si fece avanti e strinse convulsamente il braccio di Achille. Il guerriero la guardò stupito.
«Quella è mia madre.» mimò con le labbra la ragazza.
«Vedo che hai una nuova donna al tuo capezzale, dove l’hai trovata?»
Agamennone sorrise soddisfatto. «È bella, vero? Le ho risparmiato la vita, e ora è mia.»
«Sai, ci servirebbe anche a noi una serva, bisogna risollevare il morale degli uomini.»
Eirene lo guardava allibito.
«Hai ragione, ma ce ne sono così tante là fuori, potreste prendere una di quelle.»
La donna, intanto, era tornata con dei vestiti stretti tra le braccia. Proprio in quel momento la donna incrociò lo sguardo della figlia e lasciò cadere le stoffe che teneva. Agamennone si girò e vide quello che aveva combinato. La donna stava tremando e indietreggiando urtò un’altra serva, che portava vino e cibarie, e fece cadere tutto.
«Xeni!» gridò il sovrano. La donna si accasciò a terra e si portò le mani alle orecchie.
«Che serva incapace, puoi portartela via Achille, non la voglio più vedere!» gridò Agamennone.
Achille si avvicinò alla donna, l’aiutò ad alzarsi e prese i vestiti che le erano caduti.
Quando se ne stava andando Agamennone urlò rivolto al guerriero. «Ti stai facendo mettere i piedi in testa da una donna, non è da te, stai cambiando.» ma Achille fece finta di non sentire e andò avanti.
«Andiamo.» disse il guerriero rivolto a Eirene che si avviò alla biga.
Quando arrivarono all’accampamento greco Xeni era ancora sotto shock. «Io vado a… far un giro.» esordì Eirene mentre Achille portava la madre nella tenda.
«Ma…» il guerriero fece un gesto con la testa rivolto alla donna, ma quando si girò la ragazza era scomparsa.
«Quella non è mia figlia, vero?» chiese la donna.
Achille non le rispose, ma semplicemente la condusse nella tenda.


«Attaccatemi.»
«Come?...»
«Ho ucciso dei vostri uomini, figli, padri, nipoti, vendicatevi.»
Eirene era entrata in un gruppo di greci e li stava incitando.
«Perché? Sappiamo che tu sei più forte, perché dovremo andare a morire?» chiese un uomo.
“Perché ho bisogno di sfogarmi!” pensò Eirene.
«Perché sono ferita e perchè… sono una donna, non sarò mai più forte di un uomo. Poi non voglio uccidere…» quelle parole le uscirono rauche e involontarie.
“Non è vero che non vuoi uccidere! Non mentire a te stessa!” le gridò una piccola voce rabbiosa nella testa.
«Oh… guardate, la piccola donna finalmente abbassa le arie!» disse un uomo sulla quarantina scoppiando a ridere.
«Devo cominciare io, o cominciate voi?» chiese digrignando i denti Eirene.
Un uomo si fece avanti sfoderando la spada.
«Finalmente!» esclamò la ragazza.
Il duello cominciò.
L’uomo non era forte, ma appena ferito leggermente lo venne a sostituire un nuovo guerriero, e a quello se ne aggiungevano due o tre tutti assieme.
Come promesso non uccise un solo uomo, gli procurava solo ferite superficiali, ma appena venivano feriti dovevano uscire dalla piccola arena che si era creata.
Eirene dopo poco, però, era sfinita e, anche la piccola energia nera che teneva per gli imprevisti era terminata.
Verso la fine di un duello con un uomo molto resistente, si fece avanti Ulisse.
«Che onore! Vuoi batterti con me? Che fortuna! Piè veloce e Odisseo in un giorno, quale onore!» disse Eirene continuando a battersi con il greco.
Il greco si butto su Eirene colmo di rabbia.
La ragazza, troppo stanca per attaccare, si limitava a parare i colpi dell’avversario.
«Perché non attacchi?»
“Polverina, polverina, dove sei? Ho bisogno di te! Avanti esci! Non puoi lasciarmi proprio sola adesso! Non posso farmi battere davanti a Ulisse! Non oggi almeno!”
In quel momento il greco l’attaccò con un affondo e, per evitarlo, Eirene cadde a terra. La spada le scivolò dalle mani sudate, l’uomo svettava su di lei.
«Cosa m’impedisce di ucciderti?» si chiese a voce alta. «Sei solo una piccola presuntuosa ragazzina insignificante che crede di essere un grande guerriero. Tu non sei nessuno!»
Ogni parola che usciva dalle labbra dell’uomo la trafiggeva come cento pugnalate.
“Sono davvero così?” si chiese allora.
«Come pensi di poter sconfiggere Achille? Sbattendo le ciglia?» l’uomo le si avvicinò e le prese il viso tra le sue grandi e ruvide mani.
«Guardati, in questo momento dovresti essere nel letto di tuo marito, o incinta, o ad allattare i tuoi cinque figli, dovresti essere in qualsiasi posto tranne che qui, a batterti con degli uomini».
“Sono veramente così?”
“Da quando in qua ti fai mettere i piedi in testa?” le chiese una voce. “Non è mai successo, neanche con i principi di Troia, che era la tua patria! Cosa ti sta succedendo?”
“Già, cosa sta succedendo?”
“Stai diventando debole!”
“Debole…?” la rabbia iniziò a crescerle dentro e, meglio di qualsiasi polverina nera, l’adrenalina cominciò a entrarle in circolo.
Sferrò un calcio nell’inguine che fece indietreggiare l’uomo. Prese la spada e si alzò.
«Potrò anche essere una piccola, presuntuosa ragazzina insignificante, ma tu sei solo uno sporco egoista buono a nulla!» gli gridò Eirene attaccandolo da ogni parte. «Per vincere questa guerra avete dovuto barare! E, per quello che so io, tu, in questo momento dovresti essere morto, o con tuo padre, o con tua moglie, o con tuo figlio se non è morto in battaglia, ma non qui a sfidarmi e a fare il galletto!» l’uomo era fermo, lo sguardo perso nei ricordi. Eirene fece per andarsene, ma si girò e gli tirò un calcio in pancia.
L’uomo cadde a terra.
«Questo è per quello che mi hai detto» disse Eirene e, con uno scatto conficcò la sua spada nella spalla dell’uomo, che affondò fino all’elsa nella sabbia, si girò verso Ulisse.
«Andiamo, non ho tutto il giorno!» esclamò la donna spazientita. Ulisse si fece avanti.
“Sai che non puoi farcela! Sei troppo debole! Le diceva una vocina nella testa. Eirene non voleva ammetterlo, ma sapeva che aveva ragione.
Un rivolo di sangue le scendeva dalla fronte e percorreva lo zigomo giù, fino al mento e poi cadeva a terra. Ulisse estrasse la spada.
Ulisse aveva dalla sua il fatto che fosse riposato, mentre Eirene era stanca e ferita.
«Vuoi batterti in un altro momento?» le chiese l’uomo consapevole che la ragazza fosse stanca.
Quel comportamento fece infuriare Eirene che come risposta iniziò a colpire Odisseo da tutte le direzioni mettendolo in difficoltà.
Colpo. Colpo. Parata. Affondo. Fianco. Ginocchio. Abbasso. Parata. Colpo. Giro. Capriola. Torace.
Era un alternarsi di colpi frenetici e veloci.
“Forza Eirene,non mollare proprio ora!”
Infatti dopo un paio di affondi  la spada volò via dalle mani di Ulisse.
La ragazza si girò e andò via.

Quando entrò nella tenda, la madre dormiva nel letto di pellicce.
«Pensavo che fossi morta» Achille nascosto nell’ombra l’aveva vista entrare.
«In tanti lo speravano» Piè veloce si alzò e si avvicinò alla ragazza.
«Che cosa è successo? Ho sentito gli uomini abbastanza agitati.» Eirene alzò le spalle. Achille la osservò.
«posso curarti le ferite?» chiese vedendo gli innumerevoli tagli rossi sulla pelle bianca della ragazza.
«Sì.» sussurrò.
Achille la prese per mano e la condusse in un angolo della tenda dove la fece sedere e cominciò a spalmarle, sui tagli, un unguento che pizzicava.
Le sue mani, al contrario di quelle del guerriero con cui aveva combattuto, erano grandi, morbide e calde.
«Sei sicura di voler ancora fare il duello?» chiese Achille mentre le metteva un po’ di unguento sul taglio che aveva sulla fronte.
«Sì, io…» Eirene non fece in tempo a finire la frase che dalla porta della tenda entrò il greco infuriato.
«Tu! Piccola bastarda!» esclamò, la voce rimbombava nel piccolo spazio.
Xeni si svegliò e si tirò a sedere.
Il primo istinto fu quello di nascondersi dietro le ampie spalle di Achille, ma Eirene lo ricacciò dentro con disgusto e si alò, il mento alto.
Dietro di lei anche Achille si alzò in piedi.
«Cosa succede Damion?» chiese piè veloce.
«Vedi questo?» disse indicandosi la spalla coperta da fasce bianche e rosse. «è stata la tua donna a farmelo!»
«Cosa è successo?»
«L’ho battuto a duello.» rispose calma Eirene.
«Non è solo questo. Guarda che ti ho salvata io da Odisseo, lui voleva ucciderti!»
«Non è colpa mia se non hai avuto il fegato  per farmi uccidere e poi è colpa tua se hanno scoperto il mio segreto.» replicò sempre con calma la ragazza.
«Te guarda, salvi una persona e vieni ricambiato così!» sbuffò Damion.
Eirene gli si avvicinò. «Non ti ho detto io di salvarmi. Io non ho paura di morire, è una consapevolezza piacevole, l’unica cosa che ci accomuna è sapere che prima o poi tutti verremo accarezzati dalla fredda mano della morte.  È sapere che la morte ci stringerà il cuore con la sua morsa d’acciaio. È sapere che tutti ci aspettano dall’altra parte…» Damion era immobile, il cuore pompava a mille e il sorriso diabolico sulle labbra di Eirene non facilitava le cose.
«Tu sei matta!» gridò l’uomo quando si fu ripreso.
«No io ho coraggio, tu fai pena, perché un guerriero che ha paura della morte non combatterà mai nel pieno delle sue forze. Sei tu il piccolo presuntuoso.»
«Bene, avete risolto?» chiese Achille avvicinandosi ai due.
«Perché, è successo qualcosa?» chiese Eirene.
«No, non è successo niente.» disse Damion. Fece per uscire, ma tornò indietro  e si rivolse ad Achille. «Te ne sei trovata una che non riuscirai a tenere al guinzaglio. Io ho visto la sua faccia quando uccide, è il diavolo in persona…» e uscì dalla tenda.
«Sei riuscita a farti odiare anche da Damion vedo.»
«Già, è la mia specialità farmi odiare dagli uomini.» disse fredda Eirene, si girò verso Achille. «Allora, vuoi ancora duellare con me?»
L’uomo come risposata prese la spada e uscì dalla tenda.
«Eirene» la madre l’aveva presa per il polso. «Buona fortuna»
«Grazie madre».

«Pronta?»
Eirene annuì.
«Bene.»
«Combatti con tutte le tue forze Achille.»
Colpo. Parata, parata. Affondo. Coscia. Parata.
Gli uomini guardavano ammirati lo spettacolo dei due più grandi guerrieri che combattevano.
Sul volto di Achille si vedeva un’espressione dura e seria. Su quello di Eirene si scorgeva grande sorriso. Si stava divertendo.
Parata. Colpo. Parata. Affondo. Capriola.
Era un susseguirsi di colpi e quando un colpo di Achille andava a segno il sorriso di Eirene si allargava sempre di più.
“Feriscimi, non hai ancora capito che è da lì che io prendo la mia forza?” infatti, anche ogni piccolo taglietto, faceva crescere la rabbia nel cuore di Eirene e lei la conservava per sferrare l’attacco finale.
Ad un certo punto la rabbia di Eirene fu tale che non riuscì più a contenerla e la lasciò libera.
Gli occhi neri raccoglievano tutta la luce dei fuochi. Achille ci si rispecchiò ed ebbe paura.
Colpo, colpo, colpo. Capriola, colpo. Spalle, colpo, collo, colpo.
Eirene era una furia.
Presto Achille perse la spada ed Eirene gli puntò la propria al cuore.
La mano scivola sull’elsa.
Gli occhi neri ardono.
La la ma taglia la pelle.
Un rivolo di sangue cade a terra.
La spada tintinna al suolo.
Eirene si guarda le mani, stupita, spaventata da se stessa, disgustata.
Achille guarda stupito il taglio all’altezza del cuore, prende il sangue rosso e caldo fra le dita, lo osserva come se fosse una cosa nuova, mai vista. Era il sangue dell’amore.
“Ulisse aveva ragione, e anche Damion.” Pensava con amarezza l’uomo. Però quando alzò lo sguardo e incontrò quello della ragazza la sua sicurezza vacillò.
Eirene stava piangendo.
Achille ci mise un attimo a capire quello che voleva fare.
Eirene prese la spada e se la puntò al cuore.
Quando si riprese sul torace della ragazza scorreva già un rivolo di sangue.
Achille si buttò su di lei e le tolse la spada dalle mani.
«Cosa fai?» gli gridò infuriato.
«Io… non sono degna di vivere, ti stavo per uccidere, dopo che tu mi hai salvato la vita più di una volta!» Achille era sotto shock e Eirene con uno spintone lo buttò di lato e prese la spada.
«No!» gridò Ulisse comparendo nella piccola arena.
Eirene rimase immobile, la spada a mezz’aria.
«Smettila di fare la bambina!» le gridò Ulisse a un palmo dal naso prima di prenderle la spada dalle mani.
Lo schiaffo arrivò sonoro e violento. Eirene stupita si portò una mano alla guancia che si sentiva ardere come se fosse toccata dal fuoco.
«Pensi che ucciderti cambierà qualcosa? Perché pensi che Achille ti abbia salvata? Se voleva solo divertirsi con te, a quest’ora saresti nel suo letto, e non qui!» le lacrime le scendevano sulle guancie.
“Non è la prima volta che qualcuno mi molla uno schiaffo, eppure, quello che mi ha dato Ulisse è diverso…”
«Lui ti ama, piccola sciocca! Se adesso tu ti togliessi la vita, hai pensato a cosa farebbe lui?» nella foga aveva preso la ragazza per le spalle. «È troppo tardi per farsi venire i sensi di colpa Eirene.» poi sorprendendo tutti Odisseo abbracciò la ragazza.
Ma la cosa ancora più strana fu che Eirene ricambiò l’abbraccio e ci si aggrappò con tutta se stessa.
«Sono pochi gli uomini che ho stretto in un abbraccio.»
«Lo immaginavo.» le ripose Ulisse allontanandosi.
Pian piano tutti gli uomini se ne andarono lasciando soli Achillee Eirene sulla spiaggia.
La ragazza cominciò a giocare con la sabbia facendola scorrere tra le dita. «È vero quello che ha detto Ulisse?» chiese con un filo di voce chiudendo la mano su una manciata di sabbia.
«Sì.»
«Anche io…» rispose Eirene alzando timidamente gli occhi.
«Cosa anche tu?»
«Lo sai, non farmelo dire.»
«So che cosa?» chiese stupito Achille.
«Che… anche io ti amo.» sussurrò la ragazza riabbassando lo sguardo e aprendo il pugno facendo cadere la sabbia.
«Tu… che cosa?» chiese l’uomo che alzò la testa di scatto.
«Smettila… smettila di farmi ripetere le cose, l’ho già detto e non ho intenzione di ripeterlo.»
Sul volto di Achille comparve un sorriso. «Tu mi ami! Tu mi ami!» cominciò a ridere e urlare.
Eirene arrossì. «Abbassa la voce!» gli sussurrò.
Ma Achille era uscito di testa. Si era alzato in piedi e tirava Eirene per un braccio. «Alzati!» adesso anche Eirene rideva e si alzò.
Si accorse che piè veloce la fissava. «Cosa c’è?»
«Sei bellissima!» le prese la testa fra le mani e la avvicinò.
Le labbra si toccarono, morbide e calde.

Il sole stava tramontando dietro al mare.
Eirene uscì dalla tenda per dirigersi la centro dell’accampamento dove avevano acceso i fuochi.
Ormai gran parte dei greci era andata via, pronta a tornare dai propri cari dopo dieci anni di guerra.
I pochi rimasti, però, appena la videro si zittirono e si girarono per guardarla.
Eirene nel vestito azzurro lungo fino ai piedi, sembrava impacciata e timida.
Ulisse la guardava sorridendo, lei si sedette al suo fianco.
«Allora… mio… vorrei raccontarvi la mia storia…» sussurrò timida. «Io… mio padre si chiamava Menos, era il primo guerriero della legione di Troia, era rispettato e temuto da tutti, ma in realtà era un uomo buono e con il cuore d’oro. L’unica cosa che voleva era un figlio maschio a cui poter insegnare tutto quello che sapeva.» Eirene sospirò. «Purtroppo nacqui io. In un momento di rabbia voleva uccidermi, ma poi gli venne in mente un’idea così assurda…» la ragazza rise. «fece credere a tutti che mia madre avesse partorito due bambini, un maschio, Ciril, e una femmina, Eirene. Purtroppo la bambina era morta poco dopo aver aperto gli occhi. Tutti gli cedettero e lui cominciò a crescermi come un maschio. Certe volte si dimenticava che ero una femmina, e così lo dimenticai pure io. Apprendevo velocemente e lui era felice, a me bastava questo. Poi… durante un giorno di caccia gli tesero un’imboscata e io non riuscì a salvarlo morì tra le mie braccia,  e capì che lui lo aveva capito, che era una prova per me, e che io non la avevo superata. In quel momento ero già la più brava dei ragazzi della mia età, ma continuavo a ripetermi che non bastava e così, ogni notte rimanevo alzata fino a tardi per allenarmi. Mia madre era così preoccupata! Di notte mi allenavo e di giorno sfidavo i ragazzi più grandi e provocavo i soldati. Per me Menos non è mai stato un padre, ma un superiore, un uomo da rispettare, la figura del padre non esisteva nel suo carattere. È strano, vero? Non sono mai stata educata all’amore e, quando l’ho provato per la prima volta mi sono spaventata. Mi sono spaventata per… un sentimento! Io che non ho paura della morte!» Eirene rideva, una risata liberatoria.
«Beh, forse così riuscirete a capirmi meglio» Eirene sorrideva. «Bene, io… ero venuta… solo per questo.» la ragazza si alzò e si diresse alla tenda.

Nell’ombra due occhi e la punta di una freccia  scintillarono nel buio.
La punta seguì la figura vestita di azzurro che si allontanava dalla luce.
«Traditrice!» sussurrarono i due occhi prima di svanire nel buio.

«Vado a fare un giro…» le sussurrò Achille il giorno seguente. Eirene stava sognando.
Nei sui sogni comparve un uomo con i capelli biondi e gli occhi azzurri che splendeva di luce propria.
«Adesso che sei riuscita ad assaporare la felicità ti verrà negato l’amore del tuo uomo poiché tu sei l’assassina di troppe persone. Hai usato il tuo talento  male  e troppo e, per questo, subirai la solitudine eterna.»
Eirene si svegliò agitata. Quando scoprì che Achille non era al suo fianco le rimbombò nelle orecchie il sogno.
«No…» mormorò la ragazza ne l panico. «No!» urlò uscendo dalla tenda.
“Vado a fare un giro… vado a fare un giro…” la voce le rimbombava nella mente.
Senza neanche pensarci si diresse verso un boschetto che si trovava a poca distanza dall’accampamento.
Quando fu circondata dagli alberi ogni scricchiolio del bosco la faceva sobbalzare, le pareva che mille occhi la guardassero.
Lo scenario troppo simile a quello che aveva osservato l’ultimo respiro del padre.
Istintivamente si guardò le mani e inorridì.
Erano coperte di sangue.
Fece per pulirsele sulla casacca ma, quando tornò a guardarsele erano più sporche, abbassò lo sguardo sul petto, era coperto di sangue.
Si rotolò nel sottobosco per pulirsi ma il liquido rosso non si toglieva dalla pelle.
La faccia, la faccia le scottava, stava per morire, se lo sentiva.
Qualcosa di deliziosamente fresco le si posò al centro della fronte.
Come se si fosse svegliata da un incubo tornò alla realtà e, la figura di un uomo che si stagliava su di lei, cominciò ad apparirle davanti agli occhi. Batté le palpebre per far svanire le piccole macchie che le erano comparse davanti agli occhi.
«Paride?»
«Traditrice!» sibilò il principe.
«Ma… cosa dici?!»
«Ti ho vista! Parlare con i nostri nemici! Con quelli che hanno distrutto la tua città! Come hai potuto! Con Achille! Ha ucciso Ettore!»
«Io… non vi ho traditi! Io lo amo Paride, come tu ami Elena!» alzando lo sguardo vide la punta della freccia che premeva contro la sua fronte. «Vuoi uccidermi? Fallo, sai che non ho paura.»
La corda dell’arco si tese, Paride era pronto ad ucciderla.
«Lasciala immediatamente.» intimò una voce fredda e cattiva.
Paride si girò verso la voce.
Achille svettava, immenso e glorioso nella vegetazione.
Accanto a Paride, Eirene, vide baluginare una piccola luce dorata che, lentamente, stava formando un corpo.
L’uomo del sogno.
La figura dorata si avvicinò a Paride e tese l’arco assieme a lui e abbassò la freccia verso il tallone dell’uomo.
«No!» gridò Eirene ormai troppo tardi.
La punta d’acciaio trafisse la carne morbida dell’eroe.
Eirene gli corse incontro  mentre l’uomo cadeva nel sottobosco calmo e ombreggiato.
«Achille, Achille, guardami, non mi lasciare , non posso resistere senza di te, non voglio perderti, sei troppo importante!» ormai gli occhi dell’uomo erano quasi spenti a ogni battito di ciglia la vita gli scivolava via dal corpo.
«Ti amo» riuscì solo a dire, le parole lente e strascicate, la voce non più brillante e allegra come un tempo.
«Anche io ti amo» gli sussurrò in u n orecchio.
Paride continuava a scagliare frecce verso i due corpi ma, una barriera fatta d’acqua li proteggeva.
Dal fiume uscì una figura femminile bellissima, anziana ma giovane. Le due cose si mescolavano alla perfezione formando qualcosa di perfetto.
Nei capelli biondo cenere si scorgevano fiori dai mille colori. L’abito celeste cadeva alla perfezione sul corpo. Usciva dall’acqua, ma i suoi vestiti erano asciutti, senza esitazione si diresse verso i due innamorati.
Si accasciò su Achille e gli mise le mani sul petto. Restò così per parecchi minuti, solo piccole lacrime solcarono il suo viso meraviglioso.
«Lei chi è?» chiese Eirene senza smetter di piangere.
«io sono colei che gli ha dato la vita.»
«Lei è… sua madre?»
«Io ero sua madre» precisò la donna continuando a guardare Achille immobile.
«Come fa a essere… così… immobile, seria, impassibile, questo è suo figlio!» le gridò la ragazza lasciando che le lacrime le rigassero il volto.
«Pensavo che fino a poco tempo fa anche tu fossi così, come puoi criticarmi?»
«Io sono cambiata grazie a suo figlio, ora non sono più come una volta.»
«Ti sbagli, tu sei sempre uguale, non si può cambiare così radicalmente.»
Quelle parole le bruciarono dentro e capì che Teti aveva ragione. era solo riuscita a chiudere quell’odio e quella disperazione in una scatolina, ma il lucchetto non sarebbe durato a lungo.
Poco dopo arrivò Odisseo a consolarla.
Fu lei a riportare il cadavere all’accampamento, fiera e sola come un tempo.
Ulisse, in disparte, la guardava, pronto a sostenerla quando perdeva l’equilibrio.
Il corpo fu curato e accudito da Teti e Eirene per diciassette giorni e, per diciassette giorni le due donne non si parlarono.
Gli uomini rimasti allestirono una grande pira e fu Eirene a portare il corpo sulla cima della catasta di legno.
Il fuoco fu appiccato dalle mani di Eirene e Teti che poggiarono la stessa fiaccola sul pagliericcio. Ulisse teneva Eirene stretta in un abbraccio, come avrebbe dovuto fare il padre che non aveva mai avuto.
Ogni volta che la guardava si aspettava di vedere luccicare una lacrima sul volto vitreo della ragazza ma, dopo il giorno della morte di Achille non ne aveva versata neanche una.
Aveva ricominciato ad allenarsi giorno e notte. Sfidava gli ultimi uomini rimasti e, se loro non volevano li provocava.
Odisseo, in quel comportamento, rivide molto la ragazzina di cui aveva parlato Eirene.
La ragazza rimase sotto la pira per tutto il tempo, senza ascoltare il caldo bruciante che le striava i capelli e le bruciava la pelle.
Odisseo si tenne a distanza.
Quando il fumo fu alto vide luccicare due occhi neri nella nebbia grigia.
“Ecco cos’è l’amore. Soffrire all’infinito, vivere ogni attimo aspettando il suo ritorno, anche se sai che non tornerà più, ma più. Vuol dire perdere. Vuol dire guardare l’orizzonte e vederci il suo sorriso. Vuol dire soffrire, per tutti i litigi stupidi che vi hanno fatto perdere tempo. Ma soprattutto amore è sinonimo di mancanza, perché sai che quando la tua metà non c’è per tutto il resto della vita ti mancherà qualcosa, che non sarai mai completo…” pensò Eirene.
Una fitta lancinante al ventre la distolse dai suoi pensieri.
Poteva sembrare una lama che la trafiggeva, oppure, un piccolo calcetto.


Sono una creatura fatta di lettere, un personaggio disegnato da frasi, il prodotto di una fantasia scaturita dalla narrativa.
 

#8 2012-01-30 18:49:56

angel97
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

sono senza parole love good


Difficile est longum subito deponere amorem.
2-09-2012 IDAY Bologna/ 5-06-13  Green Day in Rome 5.8.14 *_* .♥ credits to Fairykisses (US)
 

#9 2012-01-30 19:46:22

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

grazie star
ma quale ti è piaciuto di più?


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#10 2012-01-30 21:31:28

angel97
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

eynis ha scritto:

grazie star
ma quale ti è piaciuto di più?

onestamente entrambi!! *-*


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#11 2012-01-31 18:40:02

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

ahhh!
e adesso come faccio? xkè questo è un racconto che devo inserire in un altro, solo che nn posso inserirne due!
e in più lo hai letto solo tu angel... vorrei che ci fossero più persone interessate pleur


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#12 2012-02-01 09:54:30

Ancien joueur nulla
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

scs,ma nn ho letto,(scusate la mia pigrizia)sarà di sicuro bello!

 

#13 2012-02-02 18:07:16

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

beh, grazie...
peccato, speravo di riucire a capire quale dei due mi era uscito meglio...
magari lo capirò col tempo.
comuqnue se qualcuno li volesse leggere, so che sono lunghi ouf ma corti non mi escono ouf
sarò molto felice di leggere il suo commento


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#14 2012-07-18 19:11:00

Ancien joueur orny99
Invité

Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

nulla ha scritto:

scs,ma nn ho letto,(scusate la mia pigrizia)sarà di sicuro bello!

Anche io,hahaha!:)

 

#15 2012-07-19 17:43:30

charlotte-c
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

Preferisco il secondo finale, cioè sono entrambi bellissimi ma il secondo è più "intrigante", comunque alla fine è incinta love ?


W le firme senza senso!
≈•The∞Lucky∞One•≈
 

#16 2012-07-19 17:54:46

Ancien joueur
Invité

Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

Anche io preferisco il secondo, però sono splendidi entrambi! love love love

 

#17 2012-07-19 20:57:55

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

meno male! anche a me piace di più il secondo! love  love
sì, è incinta, sto scrivendo il continuo. ho cominciato con l'Iliade e vorrei concludere con l'Odissea. però è più complicato di quanto pensassi. ouf


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#18 2012-10-31 19:16:18

crazyamy
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

WOW! è fantastico *_*


What doesn't kill you, makes you wish you were dead
 

#19 2012-11-01 11:50:34

Ancien joueur
Invité

Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

eynis ha scritto:

penso che voglia dire che ti piace! ne sn contenta :)
il fatto è ke, siccome nn ne ero contenta ne ho scritto un altro cn il finale diverso, solo che adesso nn so quale mi piace di più e chiedo il vostro aiuto per scegliere!

Eynis è bellissimooooooooo! ma ti dovrei ricordare che nel Forum non si può usare il linguaggio SMS! :P

 

#20 2012-11-01 15:59:43

Ancien joueur lady-gaia
Invité

Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

hypn Certo che ne hai di pazienza per scrivere tutta quella roba a pc.Anche io soffro di pigrizia a volte (xD) e non ci ho voglia di leggere tutto quel papiro hypn
Ah si volevo dirti che giusto oggi ho finito di studiare i Cretesi e i Micenei (x la verifica-siamo moolto indietro) e quindi l'Iliade.Vi metterò un testo quando lo farò.

 

#21 2012-11-03 12:35:05

eynis
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

@gaia: pensa che prima l'ho scritto tutto a mano! xD si, sono molto paziente, a volte. comunque, grazie a tutte!
grazie Amy, grazie Mina, sono felice che vi piaccia! ;) è uno dei miei testi preferiti, a dire il vero, e ne vado davvero molto orgogliosa!
@Mary: lo so, infatti, adesso non lo uso più, è stata una fase dell'adolescenza, adesso mi da molto fastidio vede scritto così, non ricordavo neanche di aver scritto così!


Sono una creatura fatta di lettere, un personaggio disegnato da frasi, il prodotto di una fantasia scaturita dalla narrativa.
 

#22 2012-11-03 18:16:20

crazyamy
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

prego! :D io non resisterei a scriverlo tutto!


What doesn't kill you, makes you wish you were dead
 

#23 2013-10-08 21:48:19

dolcelary
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da: Roma
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Re: ho provato a scrivere un testo sull'Iliade, voi cosa ne pensate?

Che testo chilometrico! *O* Sono senza parole! *w* Ma come hai fatto? ^^ Dai, stavo scherzando. *3* E' davvero un bel testo, complimenti! ;D

Ultima modifica di dolcelary (2013-11-01 09:27:11)


"E anche una parola, se soltanto è mia, sfiora le tue labbra e diventa poesia!"
- Riccardo Cocciante -
 
 

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