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#276 2013-07-22 18:54:08

Ancien joueur
Invité

Re: GDR:Princess of Rebilia

Sì hai ragione, entro domani mattina posto, poi decideremo i turni per evitare confusione.

 

#277 2013-07-23 10:41:05

Ancien joueur
Invité

Re: GDR:Princess of Rebilia

Ero entrata nella stanza, con passo titubante, cercando poi di darmi contegno e di non chinare la testa di fronte a niente e nessuno.
Il ministro, dall'aria tutt'altro che amichevole, se ne stava seduto sul trono, la mano a reggere la testa, e un'espressione corruciata che non prometteva niente di buono.
Sembrava più che stesse cercando un modo per sbarazzarsi di me, tanto quegli occhietti erano malefici.
E forse, non mi sbagliavo proprio del tutto.
"avvicinati" aveva detto, atono.
In risposta, avevo alzato la testa e avevo fatto un paio di passi verso di lui, sicura.
Fece un verso stizzito "La principessa....Lei! Ah!" aveva esclamato infine.
Cosa c'era che non andava, ero indubbiamente io, a meno che tutte le ragazze del regno fossero uguali a me.
Iniziai a mordermi il labbro inferiore per l'ansia.
Il ministro continuò E' arrivata qui, come per incanto, no? Non può essere lei, probabilmente è una strega che ha assunto le sue sembianze, e che cerca di usurpare il trono."
Quell'essere mi stava forse dando della strega?! Avevo giusto fatto un altro passo, quando lui, con un gesto della mano, urlò Guardie! Nella foresta! subito, un coro metallico si fece strada, sempre più forte e più minaccioso, e in quattro e quattr'otto, un gruppo di guardie con armatura marchiata picche, mi accerchiò, prendendomi di forza per le braccia e portandomi via, mentre una zaffirina rammaricata osservava la scena.
Una guardia montò a cavallo, prendendomi con sé, e partendo al galoppo, mentre le altre seguivano.
Arrivati ai margini di una foresta, la guardia mi fece smontare e mi condusse all'interno di essa.
Non aveva per niente un'aria amichevole, anzi, ero sicura che fosse piena di beste orrende e pericolose.
Mi lasciò lì, rifilandomi anche un calcio, giusto per evitare che lo seguissi sulla strada nel ritorno, mentre mi stringevo la parte lesa, dolorante.
Una manciata di secondi dopo, la guardia non c'era più.
Ero sola.


Bene, ora, direi, bisogna creare un ordine per i post.
Io sono prima, la prossima che posta diverrà automaticamente la seconda, la terza sarà la terza e così via.
tutto chiaro? bene

 

#278 2013-07-23 10:57:36

eynis
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Re: GDR:Princess of Rebilia

io penso di essere l'ultima perchè sono quella più avanti, così intanto voi mi raggiungete e poi siamo tutte allo stesso punto :)


Sono una creatura fatta di lettere, un personaggio disegnato da frasi, il prodotto di una fantasia scaturita dalla narrativa.
 

#279 2013-08-08 14:31:35

marymaryangel
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Re: GDR:Princess of Rebilia

dai però svegliatevi! hypn mancano un sacco di pezzi da postare ancora!


by MaryMaryAngel
 

#280 2013-08-12 23:44:14

charlotte-c
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Re: GDR:Princess of Rebilia

Jackie seguì sospettosa i cavalieri.
Durante lo scontro non lo aveva notato, probabilmente accecata dalla determinazione, ma le lunghe spade dei cavalieri non erano del colore del ferro, bensì del colore dell’oro, rilucevano quasi di luce propria.
Il suo carattere vendicativo di natura la spingeva ad assalire i cavalieri, ma non lo avrebbe mai fatto mentre erano di spalle, però lo avrebbe fatto, li avrebbe costretti a scontrarsi con lei, ad armi pari.
Ci potevano giurare.
Mentre Jackie impegnava le sue forze nel meditare vendetta i cavalieri svoltarono a sinistra, e lei li seguì, attraversarono un corridoio ancora più stretto del precedente, finché non arrivarono in un ampio corridoio, il pavimento era lo stesso pavimento di marmo rosso dei corridoi precedenti – pur rimanendo leggermente diverso e meno mistico e pregiato di quello della camera in cui era comparsa – ma per il resto non era per nulla somigliante ai restanti corridoi.
Appena arrivati furono investiti dalla luce, ma non la luce macabra e soffusa dei precedenti corridoi, no, era abbagliante luce vera, entrava da finestre a volta, prive di vetri.
I soffitti erano sì a volta, ormai sospettava che non ci fosse corridoio o stanza senza quel tipo di soffitto, ma questi erano in un materiale non ben definito, con decori arabeggianti incisi a intervalli di cinque o sei metri, anche attorno alle finestre.
La ragazza rimase incantata, era tutto così magico, le ricordava terribilmente una melodia che aveva lei stessa suonato col violoncello, era la sua preferita, l’unica volta che aveva accettato di suonare il violoncello alla sua tata delle medie le aveva suonato quel pezzo. Quei ricordi, quei ricordi immensamente felici, liberi, spensierati, la fecero entrare in un momento dolce bambina.
La postura tesa che non si era nemmeno accorta di ostentare si rilassò, lo sguardo divenne più accogliente e il passo autoritario si trasformò in un trotterellare. Vide  il luogo con una nuova gioia e curiosità infantile.
Dopo qualche minuto finalmente incontrarono qualcuno per quei corridoi all’apparenza deserti, una donna sulla cinquantina, dai capelli brizzolati, particolarmente magra, vestita di stracci, portava una cesta con dentro della frutta. Appena vide i cavalieri li salutò con un educato cenno, che i sei ricambiarono, poi i suoi occhi notarono una testolina bionda in mezzo a quelle armature, e degli occhi ambrati dall’aria infantile, quella era la principessa Jacqueline, rimase sorpresa, si illuminò.
«Oh mia signora!» la domestica osservò con reverenza la principessa del suo regno, era cambiata da quando l’aveva vista l’ultima volta, era notevolmente alta, più trasandata, meno posata… Ma raffigurava ancora la gioia infantile di quella bambina che aveva tanto amato.
Jackie dalla sua parte rimase sorpresa dal modo in cui quella signora la stava fissando, nessuno l’aveva mai guardata così, con così tanta ammirazione, in un primo momento le fu grata, poi la fece pensare a sua madre – che era però molto più giovane, bella e curata – e una fitta la scosse, le mancava sua madre, le mancava la sua adorata mamma.
Ebbe un lampo, momento nero.
«Allora? Ci muoviamo? O forse, oh aspettate, c’è una signora, aspettiamo pure tutto il tempo, certo, questo incontro è urgente, finché da dispiacere a me, appena sono felice voi dovete mirare alla mia felicità! Ma complimenti! Davvero! Complimentisbraitò la ragazza, come osavano?
Lei era migliore di tutti loro! Erano solo tozzi, crudeli e strani cavalieri.
Ma la signora, la signora fece quell’espressione addolorata, le ricordava tanto quella di sua madre, il mancato affetto si trasformò in… Compassione.
Era una sensazione strana per Jackie, non era una ragazza compassionevole, né generosa.
Eppure quel viso la scosse, il momento dolce bambina tornò.
Sorrise imbarazzata e presentò uno stupido «scusi tanto», poi rivide quel luogo come prima, e stette meglio. Era così bello essere bambini, Jacqueline era così giovane, aveva tutto il tempo per esserlo.
Non era troppo tardi come aveva sempre pensato, la vecchia Jackie, quella che portava il nome Jacqueline, esisteva ancora.

Alla fine del lungo corridoio c’era un bivio, continuare dritto o svoltare a destra, gli aguzzini di Jackie andarono dritto, così la ragazza li seguì. Dopo pochi metri iniziarono a presentarsi le prime porte alla sua destra, su ognuna era inciso il nome di nome della stanza: stanza condivisa dei domestici, stanza singola domestici, stanza condivisa domestici, stanza famiglia domestici, e andò avanti così per un'altra decina di porte, poi per un’altra ventina di metri non vi furono porte, e da lì iniziarono le stanze prestigiose: sala reale delle riunioni, sala reale privata del re e la regina(la ragazza notò che a differenza delle altre porte, questa era aperta e lasciava intravedere una stanza in disuso), sala reale privata della principessa, sala reale privata del principe(anch’essa era aperta, e non presentava mobilio, il pavimento era in pietra così come le pareti, non aveva niente a che fare con il resto di quello che la bionda pensava un castello), ufficio del re, ufficio della regina… Erano entrambi come la rispettive “sala reale privata” precedenti, poi continuò con nomi leggermente meno importanti: ufficio del giullare di corte, ufficio dei secondi(non aveva idea di cosa fossero), ufficio del consigliere dei secondi, ufficio del consigliere di corte, ufficio dell’organizzatore, la quindicenne non sapeva nemmeno cosa fosse un “organizzatore”, uno che organizza, certo, ma cosa?
Poi il corridoio finì, e si ritrovarono davanti a un’ultima porta, con sopra la targa apparentemente più recente delle precedenti, interamente d’oro Ufficio del Primo Ministro, il quinto Pervell.
La ragazza era abbagliata da tutto quell’oro e quella magnificenza, da tutti quei nomi importanti, e si sorprese quando si rese conto che l’ufficio del Primo Ministro era la loro meta, nonostante l’avessero già avvertita, suonava così altisonante a dispetto di quel che immaginava, era perfino più importante del re e della regina.
Uno degli uomini che la scortava aprì la porta, e si ritrovarono davanti alla prima stanza rettangolare di quel luogo a lei sconosciuto. La stanza presentava un pavimento in marmo aranciato, le pareti erano diverse da quelle di qualsiasi altra stanza, così finalmente reali, era quello che aveva studiato nei libri di storia.
Non tutto il resto così assurdo e irreale.
I mobili erano però erano simili a quello nella camera fatto interamente di spade, poi sul fondo della stanza c’era un enorme libreria, ricopriva quasi tutta la parete, erano in un legno scuro dalle venature dorate, il vetro era opaco, dentro c’erano centinaia di libri dall’aria antica.
Poi, notò solo alla fine, la scrivania al centro della stanza, era sostenuta da un gambo di legno scuro, dalle venature dorate, da cui poi partiva un raggio di spade che sosteneva una lastra si marmo, dello stesso marmo del pavimento della sua camera, il mistico e l’assurdo era tornato.
Vide poi un ragazzo dietro alla scrivania, che alzò lo sguardo, era incredibilmente giovane e affascinante, i capelli biondo cenere, simili a quelli di Jackie, erano cortissimi, il viso era affusolato, la postura elegante, gli occhi erano celesti, tendenti al verde acqua, il sorriso accattivante. Era così bello, eppure il sensore d’allarme di Jackie si accese, era così falso.
Così sbagliato.
Poi lo sguardo del ventenne si illuminò, gioioso, e la parte infantile della ragazza prese il sopravvento, nonostante la persistente sensazione di disagio e odio dovuta da quella falsità.
«Questa ragazza è la principessa Jacqueline, cavalieri?» il tono era un fallito tentativo di sembrare formale, traspariva l’incredulità e la gioia per la notizia.
«Sì, mio sir.» rispose un uomo alla destra di Jackie, la ragazza alzò lo sguardo verso l’uomo che aveva aggredito pochi minuti prima. Le dispiaceva, era particolarmente impulsiva, ma non era del tutto colpa sua, loro non avrebbero dovuto aggredirla in uno scontro così sleale.
Così, mentre la nuova principessa del Regno di Spade valutava ciò che aveva fatto, giustificandosi come sempre, il giovane notò un graffio sul collo, da cui sembravano essere colate un paio di gocce di sangue, di cui una era arrivata fino al seno. Fu tentato di avvicinare la mano e pulire quella fragile e bella ragazza dal colore orrido del sangue.
Ma ritrasse subito la mano, invece si infiammò «cosa è successo alla principessa? La sua gola? Perché presenta quel graffio?»
«Sembrava un intrusa ed è armata…» iniziò giustificandosi uno dei cavalieri, facendo un cenno alla cintura di Jackie, ancora munita di spada, fioretto e ascia.
«Avete aggredito Jacqueline della famiglia reale?»
«Ma era armata…»

Il ragazzo guardò i sei uomini peggio che male e li congedò con un freddo «tornate nei vostri alloggi, discuteremo della vostra condotta e punizione al seguito» e spostò il suo sguardo adorante verso una cresciuta versione della bambina che aveva tanto curato e osannato.
«Principessa, si sieda, mi scuso per la male accoglienza, quegli uomini saranno puniti».
Jacqueline era fortemente diffidente e sospettosa, era tutto così falso e disgustoso.
Ma si sedette ugualmente, senza perdere la gioia infantile, e venne fuori il suo lato più buono e misericordioso «non devono essere puniti, non in questo modo… Intendo, è assurdo» il momento dolce bambina, messo in pericolo dalla falsità da cui si sentiva circondata, non riuscì ad opporsi al momento nero, che ebbe la sua opinione nella testa della ragazza, “non vanno puniti, non in questo modo”, oh sì che sarebbero stati puniti. Ma con un duello leale, non con atroci torture.
«Lei, principessa, è sempre stata troppo buona» la ragazza si chiese nuovamente cosa intendesse per “principessa”.
«Principessa? Io non sono una principessa»
«Lei lo è… Forse dopo la sua scomparsa ha avuto un vuoto di memoria, chissà cosa le deve essere capitato, povera cara, è così poco elegante e raffinata… Comunque, mi presento, sono il Quinto Ministro Pervell, primo ministro del Regno di Spade, il regno migliore tra i dieci, non si può negare… Ma lei è appena tornata, non voglio subito impegnarla con questioni burocratiche del regno, mia signora» per la mente infantile e curiosa di Jacqueline quello fu pane.
«È incredibile, ma falso»
«Mi dispiace, ma non deve negare, lei è la principessa. Nonostante non sembri tale, non so cosa sia successo alla sua raffinatezza, né perché indossi quella scadente imitazione dei prestigiosi abiti reali, e nemmeno perché i suoi meravigliosi capelli siano finiti in un’acconciatura così rovinata. Chiamerò una domestica che la aiuterà a ripulirsi, poi potremmo riprendere questa conversazione.»
la ragazza stava per protestare – non si sarebbe mai sottomessa al volere di un altro, nemmeno nella gioia del momento dolce bambina – quando un uomo meno affascinante e ancor più falso di quello con cui stava parlando entrò, era sulla trentina, i capelli però già brizzolati e il volto incredibilmente abbruttito. Non sembrava lieto della presenza di Jackie nella stanza, al suo seguito vi erano una donna e un uomo, entrambi sembravano servi.
«Lieto di vedervi, signor Nicholas, sono lieto di presentarvi la principessa scomparsa, la bella Jacqueline, che ora andrà…»
«Mi piacerebbe cambiarmi d’abito, andiamo»
lo interruppe lei prima che potesse ordinarle cosa fare, se doveva fare qualcosa, voleva essere lei a decidere cosa fare.

La principessa andò via, seguita dai domestici, e il Primo Ministro si rivolse al consigliere di corte.
«Sir. Nicholas, è riuscito a parlare col Primo Ministro del Regno del Mare?»
«No, purtroppo non ha voluto ricevermi, ho compiuto questo lungo viaggio per nulla»
«Inaudibile, ed io che sarei stato pronto ad allearmi, ora mi avrà come nemico… Non avrebbe dovuto farlo»
«Cos’ha intenzione di fare?»
«Dovremmo attaccarlo, le nostre guardie e i nostri bambini son cresciuti a suon di sferragliare, non perderanno contro di loro»
il quinto Pervell era offeso, il Regno del Mare e il Regno di Cuori erano quelli a  cui avrebbe offerto un’alleanza, eppure, entrambi avevano rifiutato? Com’era possibile? Com’era possibile che avessero rifiutato lui?
Così, mentre impazziva con la sua solita emotività fortemente contrastata dal suo ruolo di Primo Ministro – che lo costringeva a dimostrare freddezza e dignità, ma soprattutto lucidità – il consigliere iniziò un discorso «signore, penseremo all’attacco il prima possibile, ma ci sono questioni più urgenti, come, ad esempio, lei» e fece un leggero cenno verso la porta da cui la ragazza era uscita neanche cinque minuti prima.
Il giovane strinse i pugni in un atto involontario e guardò male Nicholas, ma restò in ascolto senza pronunciare una parola «la ragazza non è adatta ad un ruolo regale come quello della principessa e successivamente della regina, l’ho visto da subito, è una popolana, una semplice povera mentecatta, non è nata per diventare un capo… E soprattutto, Primo Ministro, la sua presenza qui mina alla sua posizione, lei lo sa che danneggerà il suo importante ruolo, per non parlare della guerra. Si opporrà e pretenderà di essere ascoltata, perché lei è la principessa» l’ultima frase fu detta con tono di scherno.
Il giovane Pervell era profondamente contrariato, quella era la bambina che aveva cresciuto lui, quella che aveva accudito come fosse figlia sua, un tempo, l’ultima volta che aveva visto la principessa lui aveva diciannove anni, e lei otto.
Ricordava tutti gli otto anni precedenti alla sua scomparsa, quando la bambina nacque, suo padre era Primo Ministro, e il re e la regina regnavano incontrastati sopra tutti, suo padre compreso. Il giovane Pervell, così giovane, neanche quindicenne e figlio unico, trovava divertente stare con la neonata, incredibilmente. Poi i genitori di lei sparirono, da un lato era felice per suo padre, così il suo ruolo sarebbe stato più importante; ma dall’altro c’era quella bambina di tre anni, che tanto adorava, abbandonata dai genitori, costretta a crescere come una qualsiasi orfanella di strada. Cercò di essere ciò che la bambina non aveva, un genitore. L’anno dopo il padre del Quinto Pervell si dichiarò troppo vecchio per poter continuare la sua carica e il ragazzo di diciannove anni prese il suo posto, onorato di avere tale carica. Lui aveva continuato ad accudire la bambina e alla fine suo padre era morto pochi mesi prima della scomparsa di Jacqueline.
Quella bambina non andava toccata, non avrebbe lasciato che Sir. Nicholas la lasciasse in pasto ai cani «Nicholas, lei è la principessa, ha tutto il diritto di stare qui, tutto, capito?»
«Eppure io proporrei…»
«Proporresti cosa?!»
gridò il biondo in un impeto di rabbia, lì, con quel consigliere che era quasi un amico, non aveva bisogno di fingersi formale, poteva essere emotivo quanto in realtà era.
«Si calmi, io proporrei di liberarci di lei, non servirebbe molto»
«Mai»


Jacqueline fu guidata in un bagno, le proposero di lavarla, ma lei si rifiutò e decise che l’avrebbe fatto da sola, ormai il momento dolce bambina vacillava, era in un momento nero, quel moto di indipendenza era presente, poi, così, poté cantare, ciò la liberò dalla falsità da cui si sentiva circondata, e il momento nero venne cacciato via dalle urla della ragazza.
Finì di lavarsi sia capelli che corpo che viso, il bagno era sì pregiato, ma non aveva niente a che fare con il bel bagno pulito di casa sua. Da cui ancora non capiva come era scomparsa.
La ragazza si mise il suo vestito, le sue ballerine, la sua cintura con le armi e lasciò i capelli sciolti sulle spalle.
Poi fu riportata dai domestici nella camera, appena entrata non poté che apprezzarne l’effettiva bellezza, colta dal momento dolce bambina.
Poi notò un particolare che non aveva notato, mezzo metro sopra l’uscita dalla stanza, c’era un ritratto… Un ritratto di lei. Il viso e le spalle, era lei, lei con la sua gioia infantile, un sorriso trattenuto, solo più posata e raffinata, aveva i capelli sciolti sulle spalle, ma pettinati come mai li pettinava, bellissimi, portava una camicia di seta color sabbia da quel poco che poteva vedere, solo decorata con merletti e ricami di spade dorate. Ne fu meravigliata, era radiosa come quando era bambina, radiosa come in quei rari momenti dolce bambina.
Poi quella sensazione di falsità, che ci fosse sotto un imbroglio e qualcosa che non quadrava crebbe, e il momento nero iniziò a farsi strada nella sua mente, scacciando il momento dolce bambina che aveva cercato di evocare e tenere costante col canto.
«Jacqueline, davvero non ti ricordi di me?» chiese il ragazzo.
«No. Chi saresti?»
«Quando avevi otto anni giocavo con te,  ne avevo soli sedici»
«Oh, be’, io non conosco nessuno di voi, perché forse tu non lo sai ma io non vengo sa qua! Capito?»
«Certo, principessa…»
«Perché continuare tutti a chiamarmi principessa? Io non sono una principessa, io non sono Jacqueline, io sono Jackie! Jackie Leclercq!»
«Leclercq? Sarebbe il suo secondo nome?»
chiese la domestica leggermente confusa.
«No, razza di una… Niente. È il mio cognome!»
«Cognome?»
chiede scettico il ragazzo.
«Sì, cognome, ma ora andiamo a vedere questi vestiti, vorrei tanto litigare con voi, ma tanto non capirete mai che io non vi conosco, non sono di qua, non so come ci sia finita, e non sono una stupidissima principessa!» gridò Jackie, era rossa in viso, era stanca di tutte quelle persone che si ostinavano a non capire.
I due, un po’ trastullati, si ricomposero e la guidarono fino alla pedana dorata, si piegarono e ci andarono sotto, scomparendo nel buio.
Jackie si abbassò e mise il primo piede sotto la pedana, e notò che c’era una scala, iniziò a scendere per la scalinata fino a ritrovarsi in una stanza munita di finestre con vetri, sempre a volta. La stanza era rettangolare, per sé molto semplice, con il pavimento in pietra e i soffitti e le pareti dorati – insomma, semplice confronto al resto – ma ciò che vi stava non lo era, decine e decine e decine di vestiti, fatti con i materiali più ricercati, decine e decine e decine di scarpe, eleganti come mai ne aveva viste… Ne rimase affascinata.
«Matt, vai via, la principessa necessita di…»
«Privacy?»
chiese la quindicenne.
«No, non ho idea di cosa sia, di riservatezza»
Il ragazzo non sembrava entusiasta della notizia, ma se ne andò. E la domestica si illuminò, si immerse tra le stoffe,  ne uscì con un vestito pomposo, del colore del fuoco, dalle venature dorate, non presentava tanti laccetti, ma numerosi rigonfiamenti e stoffe. Alla ragazza piacque e acconsentì con un secco «mi piace», poi si avvicinò alle scarpe e scelse semplici scarpe in cuoio, aperte ma senza tacco, solo un po’ rialzate, erano color oro. Andò a sedersi su una panchina, situata in un angolo, e si cambiò d’abito, lasciando il suo lì, poi si rimise le armi alla cintura, incerta sul da farsi, a quel punto. Impulsivamente si mise a correre fin su nella camera per poi tirare fuori il fioretto e salire sulla pedana, constatò con piacere che le scarpe erano comode. Dopo poco arrivò la domestica col fiato corto «principessa, posso pettinarla?»
«No, sto bene così… Davvero, sto bene, mi lasci sola»
“sto bene” solo l’ennesima bugia.
«Io rimango di sotto, nel caso necessitasse di aiuto, alla fine della discesa» e se  ne andò salutando con un cenno educato.
Jackie rimase per almeno un minuto seduta sul letto, il suo istinto era ciò che l’aveva guidata durante gli anni, eppure non sentiva nessun istinto in quel momento… Aveva sempre pensato che sarebbe stato piacevole, non sentire il bisogno di fare una cosa contro ogni logica, invece era quasi angosciante, si sentiva persa ed eternamente indecisa. Lei non era una ragazza riflessiva.
Cercò di calmarsi, ma era inutile, era una bomba ad orologeria, sarebbe scoppiata, a meno che non si fosse distratta, doveva distrarsi.
Così saltò giù dalla pedana ed estrasse l’ascia, doveva imparare ad usarla, e iniziò ad esercitarsi, tenendo a mente i suggerimenti che il suo insegnante di scherma le aveva detto a proposito di ogni arma da taglio.
Dopo un paio di minuti la ragazza perse l’equilibrio e l’ascia si andò a conficcare in una cassapanca. Si riprese l’ascia, e stava per continuare a esercitarsi, nella sua lotta eterna fino alla morte, quando una cieca curiosità si impossessò di lei, con quella sua impulsività che sentiva parte di sé; mise l’ascia alla cintura e aprì la cassapanca.
La visione fu quasi orripilante.
Non era qualcosa di orripilante in sé, anzi, in un momento dolce bambina l’avrebbe pure apprezzato, orripilante era come ciò era ai suoi occhi, come veniva trattato, come era diverso da come avrebbe dovuto essere.
Giocattoli.
Trasudavano una tale falsità, erano così rovinati, come se il dolore e la delusione di un adulto fossero stati travestiti come fossero le gioie e speranze di un bambino.
Sbagliato, sbagliato, sbagliato quei vortice di parole le offuscava la mente, si irritò, e si mise a urlare «perché? Io non sono di qua! Dove sono? Dove!?» un altro urlo straziante squassò l’aria.
Lei era così arrabbiata, si sentiva così impotente e confusa… Era tutto così sbagliato.
Loro erano sbagliati, quel luogo lo era, tutto.
Accorsero dei passi, erano i due domestici, sembravano preoccupati, la domestica allungò la mano, ma Jackie scattò «non toccarmi!» e si avvicinò nuovamente alla cassapanca, ne estrasse in peluche mal cucito, con dei bottoni al posto degli occhi, così raccapricciante e lontano da ciò che dovrebbe essere un peluche, poi prese un carillon, rappresentava una giostra, lo fece partire girando la manovella, ne partì una musichetta strisciata e stridula, e fastidiosa, come unghie su una lavagna.
Era così lontano da ciò che dovrebbe essere la musica, così lontana dalla voce di sua madre, così lontana dall’armonioso suono del violoncello che lei si era sempre dilettata a suonare.
«Mia signora, penso che dovremmo tornare dal Primo Ministro» disse il ragazzo che Jackie aveva capito chiamarsi Matt, molto cauto.
«Già, voglio rivederlo anch’io»
Così tornarono giù, con la ragazza in un terribile momento nero, il solito momento nero costante, o peggio? Alla fine arrivarono nuovamente lì, il Quinto Pervell, all’inizio entusiasta, dopo un iniziò a guardare la bionda in modo strano, a lei disse poche parole, anzi, appariva più avverso nei suoi confronti, parlò per di più con i domestici, spiegando come voleva che fosse trattata la principessa. Dopo un po’ Jacqueline, decisamente stanca, si congedò da sola.
Il Primo Ministro era abilito, quella non era la bambina che aveva cresciuto, quella non era la piccola Jacqueline, lei non era la principessa degna di quel regno.
Forse doveva dare ascolto al consigliere di corte, ancora presente, perché lui rivoleva la sua bambina, voleva Jacqueline, la bambina adorabile e infantile che aveva tanto coccolato, non voleva quella brutta copia… Certo, il viso era lo stesso, eppure lei era così diversa, quell’odio negli occhi, quel carattere scontroso, quell’aria tutt’altro che infantile.
Lei non era la principessa, lei non meritava il suo amore.
«Sir. Nicholas, ha un piano? Dobbiamo liberarci di un peso, non di una principessa»


-----------------------------------
L'avevo finito ieri, ma a causa di alcune scelte a proposito della famiglia dei Pervell di cui ho parlato con Serena e Ludovica, ho postato solo ora.
Penso vi informerà di tutto Ludovica domani, io parto (:

Ultima modifica di charlotte-c (2013-08-12 23:56:25)


W le firme senza senso!
≈•The∞Lucky∞One•≈
 

#281 2013-08-13 16:07:47

Ancien joueur
Invité

Re: GDR:Princess of Rebilia

Bene ragazze, Cami mi ha mandato QUESTO messaggio -ho direttamente fatto lo stamp del messaggio per fare prima- proponendomi un'idea per le origini del ministro, che io ho accettato C:

 

#282 2013-08-14 16:01:05

Ancien joueur haru-chan
Invité

Re: GDR:Princess of Rebilia

Finalmente posto anch'io!

Passavo distrattamente le dita fra il pelo soffice di Aran quando lui si faceva più irriquieto e cominciava a trottelare verso le statue di marmo bianco, e guardavo fisso la schiena della donna di fronte a me. Donna che, per altro, ora mi stava conducendo dritta verso la stanza dove avrei incontrato il ministro.
Presi a lisciarmi nervosamente i capelli; non stavo provando a sistemarmeli, il mio era un gesto automatico.
«Ecco, siamo arrivate.» disse la voce sottile della donna, che si voltò a guardarmi. Io la guardai, per poi lanciare uno sguardo disperato ad Aran, che strofinò il muso contro la mia mano.
«Ah...bene. Già. Ehm...grazie.» lanciai un'occhiata alla domestica, come per gridarle "portami via da qui!", ma lei si limitò a sorridermi educatatemente e a congedarsi.
Sospirai e feci per aprire la porta di legno bianco davanti a me, ma a metà strada mi fermai. Forse sarebbe stato più educato bussare, prima.
Chiusi la mano a pugno e battei le nocche contro il legno duro. Quasi subito una voce melliflua e tranquilla rispose «Avanti»
Lanciai un'ultimo sguardo ad Aran, che scodinzolava tranquillo, ed aprii la porta.
Quasi subito fui investita da un'intensa luce bianca. Nella parete di fronte a me non c'erano altro che enormi finestre lunghe fino al soffitto. I muri erano d'oro puro, parzialmente coperti da librerie in certi punti. Ma, soprattutto, la stanza era piena di fiori. Mazzi di gigli enormi e candidi come le neve, dallo stelo sottile ed elegante, erano dapertutto: negli angoli della stanza, vicino ai mobili, appoggiati sui tavolini.
Per un attimo rimasi imbambolata a fissare i magnifici fiori, inebriandomi del loro profumo dolce e delizioso, prima che la stessa voce melliflua di prima mi risvegliasse. «Fantastici, vero? Curati dai migliori giardinieri del Regno del Mare.»
Mossi la testa di scatto, fissando l'uomo di fronte a me.
Sedeva a una scrivania di fine legno bianco, comodamente rilassato contro la propria poltrona.
Il mio primo impluso fu quello di soffocare una risatina. Quel tipo sembrava uscito direttamente dall'opera teatrale Don Giovanni: i suoi capelli biondi erano lunghi e legati in una coda di cavallo bassa, ed era vestito in maniera assurda.
Portava una impeccabile giacca settecentesca bianca, con dei ricami dorati che mi ricordavano delle reti da pesca. Era vestito tutto di bianco, a partire dai pantaloni, alle scarpe e alla camicia; perfino l'imponente cappello che portava in testa era bianco.
Lo fissai, sbalordita, e lui esibì un perfetto sorriso bianco splendente. Se non fosse stato per l'età (quel uomo sembrava avere più di 25 anni), forse l'avrei trovato perfino attraente.
Friedrich (si chiamava così, giusto? Dio, che nome difficile) mi fece un elegante segno con la testa, indicando la poltroncina di fronte alla sua scrivania.
Io la guardai titubante, prima di sospirare di nuovo e sedermi obbediente. Aran scodinzolò e si avvicinò a me dopo aver annusato i fiori, posando la testa sul mio grembo.
Vidi il Ministro Friedrich esibire una breve espressione di disgusto alla vista di Aran (cosa che mi irritò terribilmente), che fu presto sostituita da un sorriso lezioso.
«Bene bene bene» cominciò lui, intrecciando le dita sopra la scrivania. «Principessa Mae-»
«Non sono una principessa.» dissi io automaticamente, smettendo di pettinare il pelo di Aran con le dita. Lui brontolò leggermente.
«Ma certo che lo è.» rispose Friedrich, inarcando un sopracciglio ben curato. «Ha per caso sbattuto la testa, cara?» fece, il tono fintamente preoccupato. «Beh, certamente non mi sorprenderebbe. Chissà che viaggio avrà fatto per arrivare fin qui...»
«No, lei non mi ha capito,» sbottai, incredula. «Io non sono una principessa. Io...non so cosa ci faccio qua...voglio solo andarmene...» mormorai piano.
Vidi Friedrich stringere gli occhi. «Quindi,» cominciò, la voce calma e in qualche modo anche soddisfatta. «Lei mi sta dicendo che non ha alcuna intenzione di assumersi le proprie responsabilità.»
«Esatto.» dissi, con tono di sfida. «Proprio così.»
«Ma è fantastico!» esultò lui, facendomi sobbalzare. Aran mugolò. «Proprio...e dire che pensavo che fosse tornata per riprendersi il potere, signorina...già...» mi fece un gran sorriso, che però non ricambiai. Ero leggermente confusa.
«Che cosa intende esattamente per...riprendersi il potere?» domandai, fissandolo. Lui intanto si era alzato e mi aveva voltato la schiena, guardando il paesaggio fuori dall'enorme vetrata.
«Oh, lei...non ricorda proprio nulla, vero?» chiese compiaciuto, e io mi limitai ad annuire, perplessa. Cosa avrei dovuto ricordare?
«Bene, bene...deve sapere, mia cara, che io mi sto riferendo ad enormi e impegnative responsabilità.» agitò la mano con aria solenne. «Il Regno del Mare, il suo popolo...vede, deve sapere che questo non è il solo regno, qui. Ne esistono molti altri...già...» fece un sorriso cupo. «Comunque, ovviamente io non sono l'unico ministro in circolazione...ma il mio compito è di occuparmi unicamente del Regno del Mare.»
Io mi limitavo ad annuire occasionalmente. Okay, l'unica cosa che volevo era tornare a casa, ma non potevo far finta che quel discorso non fosse interessante.
«Vede, in particolari circostanze, dovrebbe essere la principessa del regno ad occuparsi di esso...» tornò a fissarmi con i suoi occhi azzurri. Notai che erano freddi come il ghiaccio, nonostante stesse sorridendo. «Ma lei non vuole, vero? Non vuole restare qui.»
«Ehm...già.» dissi io, impacciata. «Lei...lei tratta bene questo regno, vero? Il suo popolo e tutto il resto...»
Lui mi studiò per qualche secondo, prima di annuire. «Ma certo, mia cara.» fece un sorriso lezioso e freddo, ma io non ci feci caso.
«Bene.» feci, titubante. «Allora posso andarmene, vero?»
Lui annuì. «Ma certo. Mi preoccuperò personalmente di accompagnarla fuori di qui, cara.» disse gentilmente, prima di sporgersi dalla scrivania per studiarmi meglio. «Ci sono alcune piccole condiziono che mi piacerebbe fissare, però. Spero che non le dispiaccia, cara.»
Inarcai un sopracciglio. «Uh...condizioni, dice? Va bene, credo...» borbottai.
Lui sorrise...o, più, che altro, ghignò. «Beh, deve cercare di capire che, per molte e varie ragioni, lei non può essere lasciata a vagabondare nel villaggio del Regno del Mare.»
Aggrottai la fronte. «Quindi...mi accompagnerà nel villaggio di un'altro Regno?» chiesi, poco convinta.
Friederich emise una risatina stridula che mi accaponò la pelle. «Ma certo che no, cara. Non si può...ma sono certo che troverà la foresta deliziosa.»
Ci misi qualche secondo a registrare le sue parole. «Ma cosa...lei...vuole abbandonarmi in una foresta feci io, sconvolta. Era veramente l'ultima cosa che mi aspettavo; all'inizio pensai che mi stesse prendendo in giro, ma la sua faccia era serissima.
«Beh,» fece lui, tranquillo, come se stesse parlando di una cosa assolutamente normale. «Sì, l'idea sarebbe questa.»
«Ma è matto?!» urlai, e lui mi lanciò un occhiataccia. Aran abbaiò. «Deve scherzare...»
«Temo di no, cara.» un altro ghigno sfigurò di nuovo il suo bel viso.
«Ma...vuole scherzare? Cosa farò in una foresta?» chiesi, incredula. Sentivo le mie viscere contorcersi fastidiosamente, e la preoccupazione crescente filtrava dalla mia voce.
Lui mi guardo freddamente, il volto ora inespressivo. «Se permette,» cominciò piano. «Non è affar mio. La pregherei, però, di non cercare di intralciare in qualsiasi modo i miei piani, altrimenti le conseguenze potrebbero essere assai spiacevoli...»
«Oh, ma davvero?» sbottai, in un barlume di disperato coraggio. «E sentiamo, quali sarebbero?»
«Dovrei ucciderla.» rispose, calmo, implaccabile. «Ovviamente, ciò comporterebbe un enorme spreco di tempo, e sarebbe spiacevole per tutti se...»
Avevo smesso di ascoltarlo. Il cuore mi martellava furiosamente nel petto, e sentivo così tante sensazioni diverse che non riuscivo a riconoscerle tutte. Rabbia. Incredulità. Tristezza. Paura...
Non poteva dire sul serio. Era tutto così assurdo, e io...
«Bene,» trillò lui, allegro, impassibile. «Vediamo...oh, si sente bene, cara?»
Guardai le mie mani. Stavano tremando. «Lei...dice sul serio?» mormorai, facendo uno sforzo enorme per controllare la mia voce.
Lui mi fissò, incuriosito. «Beh, direi di sì, cara.» sospirò con fare teatrale. «Ma mi creda, io non voglio di certo farlo. Per questo le offro la possibilità di essere scortata da un paio di guardie personalmente qualificate da me- non si preoccupi, arriverà a destinazione sana e salva.» concluse, rivolgendomi un sorriso smagliante.
Lo guardai, deglutendo. Benché il mio orgoglio ne risentisse, non potevo che piegarmi alle sue condizioni. A meno che...
«Beh,» cominciai, piano. «Supponendo che lei finisse per...uccidermi...non crede che la gente comincerebbe a parlare? Varie cameriere mi hanno visto, oggi...» dissi, con tono di sfida, benché non riuscissi a guardare Friedrich direttamente in faccia.
Lui strinse gli occhi e le labbra, e notai che la sua mascella si stava contraendo. «Oh, mi creda,» mormorò, la sua voce non più melliflua ma bassa e minacciosa «Può stare certa che nessuno, in questo castello, fiaterà. Sa, la pena di morte è sempre così convincente...»
Cominciai a torcermi le mani. «Io...okay.» mormorai semplicemente, dirignando i denti.
Il sorriso gioviale tornò a splendere sul volto del primo ministro. «Perfetto.» disse, deliziato, facendo schioccare la lingua. «Perfetto, mia cara. Perché non va a prepararsi in camera sua? La farò chiamare tra mezz'ora. Il suo...ehm...» lanciò un'occhiataccia torva ad Aran, che lo stava fissando male. «...animale domestico può venire con lei.» concluse, alzandosi.
Automaticamente mi alzai anch'io, sebbene le mie gambe fosse leggermente traballanti. «Mi creda, è stato un vero piacere contrattare con lei, signorina.» ghignò, facendomi un lieve inchino.
Annuii. «Già.» mormorai, deglutendo un'altra volta. «Io...andiamo, Aran.» guardando il pavimento mi affrettai verso la porta, con Aran che trottelava dietro di me e con lo sguardo del ministro Friedrich che mi perforava la schiena.
Era tutto un incubo, vero?

Rovistavo febbrilmente nei cassetti, buttavo all'aria vecchi indumenti, spolveravo i ripiani. Non sapevo esattamente cosa stavo cercando, volevo solo trovare qualcosa. Qualcosa di utile.
L'uniche cose che avevo adosso erano una muta per nuotare, un pullover e dei jeans. E nella borsa, l'ipod, assolutamente inutile.
Ero riuscita a trovare una vecchia coperta di pile, però, piuttosto grande e morbida, e l'avevo ficcata senza troppe cerimonie dentro alla borsa. Inoltre una cameriera impietosita mi aveva portato un sacchetto pieno di biscotti, ma io ne avevo dato metà ad Aran, che non aveva mangiato nulla per tutto il giorno, e avevo messo quello che rimaneva dentro alla borsa.
Sembra quasi che mi stia preparando per andare in campeggio, pensai tra me e me, sbottando in una risatina isterica.
Perfino Aran sembrava nervoso: gironzolava per la stanza, mugolando scontendo. Pensai che fosse ancora affamato, oppure la mia paura aveva contagiato anche lui.
Stavo quasi per arrendermi nel trovare qualcosa di utile, quando mi punsi il dito indice con qualcosa. Borbottando, cercai l'oggetto colpevole: eccolo, infondo al cassetto, tutto uno scintillare di metallo dorato...
Era un amo, di come io non ne avevo mai visti prima. Era piuttosto grande e ricurvo, e brillava come se il tembo e la ruggine non fossero mai esistiti per lui.
Con lo sguardo cercai una canna da pesca, ma non la trovai. E, avendo già ribaltato e messo a soqquadro l'intera stanza, sicuramente non l'avrei mai trovato. Forse potevo usare un bastoncino di legno come sostituto...mio padre mi aveva insegnato come fare...
Lacrime salate cominciarono a scivolarmi sulle guance. Me le asciugai con rabbia, e nella mia mente una sola frase continuava a ripetersi all'infinto...La ritroverò... pensavo, Ritroverò la via di casa, fosse l'ultima cosa che faccio...
Aran si avvicinò, prendendo a leccarmi le mani in un tentativo di consolarmi. «Lo so...» borbottai. «Lo so, è una situzione del cavolo, ma non possiamo farci niente...prima ce ne andiamo meglio è...» lui abbaiò, e io gli rivolsi un sorriso umido. Mi alzai in piedi -prima ero inginocchiata sul pavimento- e mi legai i capelli in una coda di cavallo alta, appena in tempo per sentire qualcuno bussare alla porta.
«Avanti» dissi, con voce incerta.
Una cameriera aprì la porta, scrutandomi con occhi stanchi e tristi. «Principessa Maeve, la carrozza...è pronta...deve andare...» mormorò, la voce spezzata.
«Sì...sono pronta...» afferai la borsa, guardando a terra per non dover fissare gli occhi sconvolti della cameriera. «Su, Aran. È ora di andare.»
Il viaggio fu stranamente tranquillo. Ero accompagnata da tre guardie enormi che, sospettai, più che proteggermi erano lì per evitare che io fuggissi.
Guardavo il paesaggio fuori dalla carrozza (straordinariamente simile a quella di Cenerentola: bianca ed enorme, e, se fosse stata una situazione diversa, probabilmente l'avrei apprezzata di più), che cambiava di continuo: costeggiavamo un percorso vicino al mare, lontano dal villaggio...entravamo nella foresta...ci infiltravamo sempre di più nell'enorme vegetazione..
Ad un certo punto ebbi uno spasmo di paura. In certi punti filtrava pochissima luce. Sperai con tutta me stessa che non ci fossero animali pericolosi la dentro.
Ad un certo punto la carrozza si fermò, e le guardie mi fece un segno con la testa. Le seguii fuori, dentro alla foresta, con Aran alle calcagna.
Loro mi fissarono un'ultima volta (soffermandosi sulla borsa rigonfia per colpa della coperta, che loro avevano voluto controllare più volte) prima di sparire di nuovo dentro alla carrozza.
Io rimasi lì, in piedi su un mucchietto di foglie, a guardarli allontanarsi. Mi imposi mentalmente di non ricominciare a tremare, la paura cieca che si impossessava di nuovo di me, artigliandomi le viscere.
«Su, Aran.» feci un debole segno al border collie e mi incamminai verso un punto a caso.
Aran mi seguì obbediente, fermandosi ogni tanto per annusare un fiore, un fungo, qualche foglia. Dopo un po', cominciai a sentire il rumore remoto di un corso d'acqua...un fiume...un lago...istintivamente, accelarai.
Non mi importava cos'era, ma sapevo che dovevo raggiungerlo.

 

#283 2013-08-16 00:50:07

Ancien joueur misteriosa98
Invité

Re: GDR:Princess of Rebilia

Posto c:
Scusate il ritardo ma, come vedrete, nel post accadono un paio di cose e mi serviva tempo per scrivere (?) Inoltre, quando avevo quasi finito mi si era spento il pc, cancellando tutto, quindi ho dovuto riscrivere c_c


La porta della stanza si apri' e vidi entrare tre donne, non troppo giovani e nemmeno troppo vecchie, che subito si misero al lavoro.
Probabilmente erano delle domestiche, indossavano gonne lunghe e larghe con sopra grembiuli e i loro capelli erano stretti in crocchie tirate.
Spolveravano, sprimacciavano i cuscini, raddrizzavano le tende e mettevano in ordine la stanza gia' perfettamente ordinata, sperai con tutto il cuore che non si avvicinassero allo scrittoio e intanto lanciavo occhiate ad intervalli regolari verso il libro che, stupidamente, mi ero dimenticata sul pavimento.
Qualcuno ascolto' le mie preghiere silenziose e, stranamente, nessuna di loro si mise a spolverare lo scrittoio ma una di loro noto' inevitabilmente il libro.
- Oh cielo, guardate qua! E' il libro della principessa, questo! - strillo' una, in preda all'emozione.
Le altre le si raccolsero intorno, come api intorno al miele.
- Oddio, si! Deve essere il suo libro! -
- Allora e' tornata! La principessa e' finalmente tornata! - grido' la seconda, volgendo lo sguardo verso il ritratto sopra il letto.
Quindi quella tipa era la principessa, e loro dovevano essere le sue cameriere. Probabilmente mancava da un po' e loro vedendo il libro pensavano che fosse tornata.
Ma in realta' il libro lo avevo portato io, che non ero la principessa.
Certo, non lo ero. Eppure ero uguale e loro avrebbero potuto benissimo scambiarmi per lei.
Mi ritrassi ancora di piu' sotto lo scrittoio.
“Fai che se ne vadano, ti prego, fai che se vadano.”
- Lei dov'e' allora? - chiese la prima, quella che aveva trovato il libro all'inzio.
Iniziavo a provare una certa antipatia verso quella ficcanaso.
- Forse e' da qualche parte nel castello... Passava molto tempo nella sala della musica, prima. - azzardo' la seconda.
- Non essere stupida, le guardie l'avrebbero vista! Deve essere qua... - rispose la terza.
- Su, cerchiamola! - riprese la prima.
D'accordo, odiavo ufficialmente quella donna.
Si misero all'opera cercando nell'armadio, sotto il letto e dietro le tende. Mi chiesi che razza di ragionamenti facessero, perche' mai qualcuno sarebbe dovuto nascondersi sotto un letto?
Poi mi accorsi che io stessa ero rannicchiata sotto uno scrittoio e lasciai perdere.
Sapevo che era inevitabile il fatto che prima o poi si decidessero a guardare la' sotto, quindi mi preparai psicologicamente al loro arrivo, cosa avrei potuto dire? “Ehm... Salve ho aperto quel libro e mi sono ritrovata qui, potreste chiamarmi un taxi per favore?”
Vidi una di loro – la prima, ovviamente.- che si avvicinava allo scrittoio, mi sudavano le mani.
Oddio, oddio, oddio. Cosa avrei detto?
La donna scosto' la sedia.
E poi scoppio' il pandemonio.
- Principessa, principessa e' qui! -
- E' tornata finalmente! -
- Non e' cambiata proprio, si nasconde sempre nei soliti posti! -
Una di loro mi fece alzare in piedi, e iniziarono a parlare tutte contemporanemente.
- E' ancora piu' bella! -
- Ma questi vestiti, da dove vengono? -
- E i suoi capelli, principessa... dovrebbe farseli acconciare! -
Presi un gran respiro, okay era arrivato il momento.
- Ehm... Sentite, so di essere uguale alla principessa. Ma, davvero, io non sono lei! Mi chiamo Blair e..-
- Oh, ma certo, lo sappiamo che si chiama Blair! -
- E' sempre la solita, con i suoi scherzi... -
- No, sul serio io non sono la principessa...- cercai di protestare debolmente, ma loro sembrarono non ascoltarmi proprio.
- D'accordo ora la smetta, siamo talmente felici del suo ritorno! -
- Gia'... da quando e' partita sono successe talmente tante cose, la guerra e...-
- Il ministro, si probabilmente vorra' vederla. -
La guerra? Il ministro? Ma cosa diamine stava succedendo?
Le tre cameriere inziarono a tirar fuori abiti e gioielli, probabilmente per il presunto incontro con il ministro. E intanto continuvano a parlare senza che io avessi la lucidita' necessaria per tenere il filo dei loro discorsi.
- Quest'abito le stara' benissimo... -
- Il ministro sara' contento del vostro ritorno, anche se nel frattempo ha preso lui il controllo... -
- Preferisce una treccia? Oppure un'acconciatura alta? -
- Ha fame? Vuole che le portiamo la colazione? -
- Dov'e' stata in tutto questo tempo? -
Non ce la facevo piu', erano veramente insopportabili.
- Ora basta, davvero. Uscite di qui. - sbottai alla fine.
Le tre si scambiarono degli sguardi dubbiosi.
- Ma, principessa, il primo ministro... - fece per intervenire una.
- Non me ne frega nulla del vostro stupido ministro. -  replicai
- Principessa, la prego ci ascolti... -
- Voi dovreste ubbidire a me, giusto? Bene, vi ordino di uscire di qui. -
Le tre si guardarono di nuovo, indecise se accetare l'ordine o insistere. Ma evidentemente la principessa aveva parecchio potere da quelle parti, si inchinarono e uscirono in silenzio; prima che si chiudessero la porta alle spalle sentii una di loro bisbigliare:
- Sarebbe stato troppo bello se fosse diventata almeno un po' piu' matura, non si rende minimamente conto delle sue responsabilita'.-
Ma certo che non me ne rendevo conto, quelle non erano le mie responsabilita'!
Automaticamennte mi ritrovai ad odiare quella principessa sconsiderata che se n'era andata lasciando tutti i suoi casini a me. E anche quell'idiota sconosciuto che aveva lasciato il libro sulla mia veranda. Era tutta colpa sua.
Un momento... Se il libro era riuscito a portarmi in quel posto misterioso allora poteva anche riportarmi a casa, no? Si, senza dubbio era cosi'.
Una delle tre donne lo aveva abbandonato sul letto, andai a sedermi trascinandomi dietro la borsa e la chitarra e lo presi in mano.
“Okay, Blair. Ora concentrati: pensa a casa, casa tua. Alla tua stanza, il tuo letto e i tuoi dischi. Avanti.”
Chiusi gli occhi e aprii il libro, mente nella mia mente rivedevo la residenza Wilkinsons, il mio letto sfatto e tutte le mie cose.
Aspettai un paio di secondi, non successe niente.
Mi arrischiai ad aprire gli occhi, sperando con tutta me stessa che avesse funzionato.
Ma appena mi guardai intorno capii che mi ero solamente illusa, mi trovavo ancora nella stanza della “principessa”.
In preda allo sconforto mi lasciai cadere sul letto che, nonostante tutto, era veramente molto comodo.
Fissai l'enorme lampadario appeso sopra di me, era tutto talmete... strano e impossibile.
Sarei morta li'? Che cosa orribile da dire, eppure non riuscivo a trovare qualche via d'uscita.
Qualcuno busso' alla porta, lo ignorai. Ne avevo abbastanza, se proprio dovevo rimanere in quel posto lo avrei fatto da sola, in quella stanza con la mia chitarra.
- Ehm... principessa? - riconobbi il tono esitante di una delle donne di prima ma non mi presi il disturbo di rispondere.
- La prego, il ministro ha chiesto espressamente di lei, deve andare da lui! -
Sembravano veramente preoccupate, dio.
- Non mi interessa, andatevene. - gridai di rimando, esasperata.
Che stress, mamma mia.
Le sentii parlottare un po' dall'altra parte poi, finalmente, se ne andarano.
Tornai a sdraiarmi su quel morbido letto, ero veramente stanca. Piu' tardi forse avrei potuto dare un'occhiata in giro... Soprattutto in quella sala della musica di cui parlavano le tipe... Ma prima potevo anche permettermi un riposino, si, quel letto era proprio comodo.

Un casino infernale mi fece svegliare di soprassalto, mi tirai su confusa: che stava succedendo?
D'un tratto, la maniglia della porta si apri' e ne usci' Dio.
Dico davvero, quell'uomo avrebbe potuto benissimo essere una qualche divinita' dell'Olimpo per quanto era... affascinante, si, la parola giusta era questa.
Sorrise nel vedermi attontita e subito cercai di ricompormi, per non sembrare una stupida.
- Ben tornata pricipessa, sono Gideon Pervell. - disse, con un lieve inchino.
- Il primo ministo. - aggiunse, vedendomi disorientata.
Oh, quindi era lui il primo ministro.
- Mi hanno comunicato che non desiderava vedermi, posso saperne il motivo? - mi chiese, sempre con il sorriso. Eppure era un sorriso strano, si limitava solo alla bocca mentre gli occhi rimanevano freddi e impassibili.
- Io, ecco... -
- Non c'e' problema. - mi inerruppe prontamente. - La aspetto nel mio ufficio. -
E se ne ando'.
Rimasi seduta sul letto, ancora sotto shock.
Subito rientrarono le tre donne di prima, questa volta sorridenti e allegre piu' che mai.
- Oh, eravamo sicure che il ministro sarebbe riuscito a convincerla! -
- Che vestito vuole, allora? -
- Io inizierei dai capelli... -
E iniziarono a darsi da fare, senza che io dovessi muovere un dito.
Mi fecero indossare un abito di velluto lungo fino ai piedi, non troppo ampio di un blu notte che sembrava risplendere da solo, senza contare i numerosi dettagli dorati.
Ai piedi avevo delle scarpette in tinta, e mi avevano raccolto i capelli in una treccia molto elaborata che mi ricadeva su una spalla.
Mentre mi guardavo allo specchio non potei a fare a meno di pensare che mia nonna sarebbe stata al settimo cielo se mi avesse vista in quelle condizioni.
E pensando a lei, ripensai a casa... Mi chiesi se tutta quella faccenda avesse uno scopo.
Di sicuro non aveva un senso.
Pensai di essere pronta per andare, ma loro mi obbligarono a sedermi di nuovo e si diedero da fare con i trucchi.
Mi misero una specie di rossetto rosso, anche se era piuttosto diverso da quelli che erano in commercio in Inghilterra e poi mi spalmarono sul viso una polvere bianca che probabilmente corrispondeva a quella che io conoscevo come cipria.
Me ne stavo giusto per andare quando una di loro mi fermo' al suono di:
- Principessa, aspetti! Ha dimenticato la corona! - e subito mi raggiunse, posandomi sul capo una coroncina fine ma molto elaborata.
Lanciai un'altra occhiata verso lo specchio e nel riflesso vidi la principessa, davvero.
Quella non era Blair Wilkinsons, la ragazza che mi fissava ora era veramente identica al ritratto della principessa che sovrestava il letto.
Sentii un brivido lungo la schiena e subito mi afrettai a uscire dalla stanza, lontano da quel riflesso.
Fuori, nel corridoio, mi aspettava un'altra cameriera che doveva accompagnarmi nell'ufficio del ministro.
Il castello era enorme e la cameriera non fece altro che parlare di quanto ero mancata al regno, io non la ascoltai minimamente. All'inizio presi a guardarmi in giro, quel posto sembrava essere direttamente uscito dalla sceneggiatura di un film, ma piu' ci avvicinavamo allo studio piu' mi innervosivo.
Avevo l'impressione che tutto il fascino del ministro fosse solo una copertura e, quando passi meta' della tua vita in un collegio pieno di adolescenti ricchi e viziati, sei capace di individuare le doppie facce.
Ma non era solo questo, qualcosa nel suo “sorriso” mi metteva a disagio, eppure quando era entrato nella mia stanza e mi aveva detto di andare da lui era come se non avessi potuto fare altrimenti.
Quell'uomo era riuscito a farmi fare quello che voleva e per questo mi spaventava. Molto.
- Ehm, principessa siamo arrivate...- mi richiamo' la cameriera, mentre io, immersa com'ero nei miei pensieri, avevo continuato a camminare.
Raggiunsi l'ampia porta di quercia dove mi aspettava la cameriera e maledii quello stupido vestito che non aveva le tasche e non mi permetteva di nascondere le mani tremanti.
- Io devo andare, mi scusi. Ma non mi e' permesso indugiare qua a lungo. - si scuro' la cameriera e dopo essere congedata con un lieve sorriso da parte mia se ne ando'.
Bene, ora ero sola.
Presi un respiro profondo e mi imposi di stare calma. Infondo io non avevo niente a che fare con loro, era stupido e insensato farmi tanti problemi per delle persone che con ogni probabilita' erano saltate fuori da un libro.
...Anche se quella saltata dentro il libro ero io.
Posai la mano sulla maniglia della porta.
- Avanti! - chiamo' una voce dall'interno, e la porta si spalanco' senza che io non avessi mosso nemmeno un dito.
Tutto molto normale, ovviamente.
La stanza era interamente rivestita da pannelli di legno scuro, un'enorme scrivania torreggiava al centro e dietro questa era seduto il ministro. Stringeva fra il pollice e l'indice una sigaretta, e mi rivolse un'espressione divertita nel vedermi sussultare quando la porta si richiuse. Da sola.
Cercando di darmi un'aria autoritaria, avanzai verso il caminetto che si trovava in fondo alla stanza e mi accomodai su una delle poltroncine rivestite di velluto color pece.
- Non ricordo di averla invitata a sedersi. - mi disse, con un'espressione indecifrabile.
- Ero convinta che la principessa si trovasse a un grado superiore, rispetto al primo ministro. - Non sapevo nemmeno io da dove mi fossero uscite quelle parole, ma cercai di assumere un'aria convinta. - Potrebbe spegnere quella sigaretta? Il fumo mi infastidisce.- aggiunsi. “Vai cosi' Blair, vai cosi'!” mi incitai mentalmente.
Tra l'altro non era la sigaretta a infastidirmi, io stessa fumavo a volte, ma il suo fumo.
Lui mi lancio' un'occhiata strana, ma poi lancio' la sigaretta nelle braci del caminetto acceso.
La guardai bruciare fra le fiamme, affascinata.
- Non ho intenzione di fare giri di parole con te.-
Mi voltai spaventata, si trovava in piedi alle mie spalle nonostante non mi fossi minimamente accorta del suo spostamento.
- Probabilmente i miei fratelli avranno gia' cercato di eliminare le altre principesse, ma io non faro' il loro stesso, stupido, errore. -
- I suoi fratelli? - chiesi, sconcertata.
- I ministri degli altri regni, avranno cercato di togliere di mezzo le principesse. Ma io ho altri piani. -
Immediatamente mi sentii terribilmente a disagio la' dentro, ma ormai era troppo tardi per andarsene.
- La guerra ormai sta distruggendo Rebilia, e il consenso sta sempre diminuendo. - continuo' lui, senza curarsi del fatto che le sue parole erano incomprensibili.
- Soprattuto nel Regno del Fuoco, dove gli abitanti sono sempre stati inclini alle ribellioni. E io non posso permettere che ci sia una rivolta, non durante la guerra e neppure dopo. Ora tu, mia cara principessa Blair, sei la loro unica speranza. Ti seguiranno ovunque lo so. Quindi il patto e' questo, mia cara: tu ti mostrerai mia alleata, favorevole alla guerra. Farai discorsi illuminanti su quanto sia importante la liberta' del nostro Regno rispetto al resto di Rebilia, li inciterai a combattere per te.
E io ti lascero' vivere, al contrario delle altre principesse. -
Non avevo capito molto di cio' che aveva detto, ma un paio di cose mi erano chiare:
Era in corso una guerra in quello strano posto, e io in quanto “principessa” dovevo mostrarmi favorevole.
Altrimenti avrei fatto la fine delle altre regnanti misteriose.
- Cos'e' successo alle altre? -
- Scomparse, disperse, morte. - mi rispose lui, mentre si riaccendeva una sigaretta con tutta calma.
- Ma... Sono le principesse. - replicai, confusa. - Non dovrebbe essere loro il potere? Non sono loro a decidere? - chiesi, con un filo di voce.
Mi sorrise e io mi sentii rabbrividire.
Quell'uomo era quanto di piu' orribile avessi mai visto, non riuscivo lontanamente a credere di averlo considerato affascinante solamente poche ore prima.
- Certo, il potere e' loro. Ma sono tutte troppo stupide per riuscire ad usarlo, e' per questo che dovrebbero lasciarlo nelle mani dei ministri e non impicciarsi in cose che non le riguardano. -
Mi lancio' un'occhiata significativa, ma certo: nemmeno io dovevo impicciarmi di quelle cose.
Non sapevo cosa rispondere, non sapevo cosa fare. Era tutto assurdo.
La' fuori c'era una guerra, e io avrei anche potuto fare qualcosa per fermarla se avessi voluto. Di certo non avevo intenzione di farmi comandare a bacchetta da lui.
Si sposto' dietro di me, posandomi una mano sulla spalla. Mi sentii raggelare sotto il suo tocco.
- Ti prego, non credere di poter fare la paladina della giustizia. Non ti e' mai importato nulla di Rebilia, nemmeno prima che te ne andassi. Dovresti ringraziarmi, io ti sto solamente offrendo una possibilita' per sopravvivere. -
Deglutii a fatica, il pensiero della morte vera e propria non mi aveva mai sfiorato prima d'ora.
Me lo ritrovai di fronte, incredibile la velocita' con cui si muoveva. Soffio' il fumo della sua sigaretta direttamente sul mio viso.
- Accetti? -
Cosa dovevo fare?
Io non ero la loro principessa, dannazione. Quelle persone, quel posto, quella guerra non c'entravano nulla con me.
Non era un mio problema.
L'unica cosa che avrei dovuto fare era cercare un qualunque modo per ritornare a casa, oppure in alternativa starmene li' ad aspettare.
Non c'era alcun bisogno che mi offrissi volontaria a una morte certa, non quando non ci avrei ricavato nulla.
- Accetto. -
Mi alzai e uscii dalla stanza in tutta fretta.
Quell'uomo era una persona orribile.
E lo ero anch'io.

Me ne stavo seduta di fronte alla finestra della mia stanza, mentre suonavo qualche accordo alla chitarra e riflettevo sul da farsi.
Le tre cameriere mi avevano proposto di fare un giro nel castello, ma francamente non mi interessava piu' di tanto e fortunatamente il mio rifiuto non le stupi', dato che in teoria la “principessa” conosceva gia' l'intero castello e tutti i suoi nascondigli.
Per la prima volta mi ritrovai a desiderare di essere veramente la ragazza che mi fissava dal ritratto sopra il letto: almeno cosi' sarei potuta nascondermi e starmene un po' da sola.
Infatti anche se quella era la mia stanza privata e avevo espressamente chiesto di non essere disturbata, ogni tre minuti qualcuno spuntava a chiedermi se avevo fame, sete, sonno, o se avessi bisogno di qualcosa.
Certo che ho bisogno di qualcosa, avrei voluto gridargli, della mia stanza in Inghilterra, il giardino della casa dei nonni e una buona tazza di caffe'.
Quando gli avevo chiesto il caffe', mi avevano guardata come se avessi detto “voglio una canzone dei Green Day senza parolacce”. E non sapevano neanche chi fossero i Green Day.
Inoltre quando avevo chiesto qualcosa da mangiare, mi ero ritrovata di fronte decine di piatti. Ognuno con della carne cucinata in modo diverso.
Mi ero dovuta accontentare delle patate che, comunque, erano squisite.
Volsi l'ennesima occhiata fuori dalla finestra, sperando in qualcosa di nuovo.
Ma dalla mia postazione riuscivo a vedere soltanto l'immenso giardino del castello.
Era vagamente inquetante, immerso nelle tenebre con centinaia di lampioni rosso fuoco ad illiminarlo. Sicuramente non era l'ambiente giusto per sedersi a leggere come facevo nel giardino di casa.
Sentii aprirsi la porta della stanza, di nuovo, e entro' una delle tre cameriere di prima. Mi rivolse un sorriso radioso e prese a spolverare in giro, nonostante lo avesse fatto almeno tre volte nelle ultime due ore.
D'un tratto mi resi conto della faccenda.
Ma certo, il ministro mi stava facendo sorvegliare!
Voleva essere sicuro che non mi muovessi dalla mia stanza, che non mi impicciassi in faccende che non mi riguardavano.
Mi ritrovai a sorridere spontaneamente, il patto era quello di non impicciarsi con la guerra... Ma ero pur sempre la “principessa”, poteva fare un giro, no?
- Ehi... - volevo chiamare la donna, ma mi resi conto solo in quel momento che non conoscevo il suo nome. - Come ti chiami? - le chiesi.
La donna mi fisso' stupita. - C-cosa? Parla con me? -
Mi guardai intorno, ironica. - Beh, non vedo nessun'altro qui. - risposi perplessa.
- Sono Lucy. - si presento' lei, con un lieve inchino.
- Oh, ciao Lucy. - la salutai. - ti andrebbe di accompagnarmi a fare un giro nel Regno? Manco da molto e vorrei vederlo... -
Se a Lucy sembro' strano non lo diede a vedere, si limito' ad annuire e sparire fuori dalla stanza al suono di un – Torno subito! -
Restai a fissare la porta confusa, che fosse andata a chiamare il ministro?
Sarebbe riapparsa al seguito di un gruppo di guardie?
Invece la vidi tornare di corsa, mentre stringeva in mano qualcosa di piccolo e luccicante.
- Rieccomi! Possiamo andare, ma e' meglio che tenga questo, sa... per sicurezza! - e cosi' dicendo mi passo' l'oggetto.
Era un pugnale.
Restai senza fiato. Era uno di quei pugnali veri: affilati e con il manico intagliato e decorato da pietre preziose.
La guardai sbalordita. - E cosa me ne faccio? -
- Non si sa mai! - esclamo' lei. - Lei e' la principessa, deve potersi difendere! -
Certo, e come facevo se non sapevo nemmeno come tenerlo in mano? Era ridicolo.
E poi dove l'avrei dovuto mettere? Se me lo legavo alla caviglia come le eroine dei film, con ogni probabilita' sarei finia per farmi male da sola.
- Non lo voglio. - replicai fermamente.
- Ma principessa! - replico' Lucy, indignata. E senza darmi il tempo di rispondere, nascose il pugnale (con relativa custodia per fortuna) in una rientranza del mio vestito, una specie di tasca di cui non mi ero nemmeno accorta.
- Bene, ora possiamo andare! - e corse di nuovo fuori dalla stanza.
Ma dico, e' normale?
La seguii, piu' confusa che mai.
Ci fermammo fuori dall'entrata principale, ad aspettare la carrozza.
Mi accorsi che le pareti dell'intero castello erano rivestite di pannelli d legno, a volte chiaro altre piu' scuro. Le pesanti tende di velluto erano quasi sempre chiuse e le stanze erano interamente illuminate da candele. Il posto perfetto per il fuoco, non potei fare a meno di pensare.
La carrozza arrivo', ed era incredibilmente simile a quella di Cenerentola. Con l'unica differenza che questa era sui toni del nero e del bordeux e nell'insieme risultava piuttosto tetra, come tutto il resto d'altronde.
Spunto' un ragazzo dal nulla che mi fece accomodare dentro, nel farlo mi aiuto' tendendomi la mano.
- Bentornata Principessa. - disse, con un sorriso triste.
Lo fissai, incredula. Possibile che lo avessi gia' visto?
Scossi la testa, come a cancellare quell'idea assurda. Io non ero mai stata li'.
Lucy mi segui', e si sedette affianco a me sui sedili imbottiti. Il ragazzo richiuse la portiera ma non distolse gli occhi da me, sembrava molto frustato.
Alla fine tirai le tendine, esasperata.
Passai un paio di minuti con gli occhi chiusi, cercando di togliermi dalla testa l'immagina di quello strano ragazzo.
Poi pensai che se dovevo starmene in carrozza con le tende chiuse, tanto valeva restare nella mia stanza.
Le riparii, e passai l'intero viaggio con il naso spiaccicato al vetro a guardare fuori.
Una volta usciti dai cancelli che delimitavano la residenza reale, superammo un paio di quartieri aristocratici, pieni di ville non molto diverse da quella dei miei nonni.
In giro non c'era molta gente, tutto sembrava troppo silenzioso.
Ben presto pero' ci addentrammo in quello che doveva essere la zona popolare, o qualcosa del genere.
Le abitazioni sembrvano molto piu' vecchie e malconcie, le strade erano stracolme di gente di ogni tipo e tutti sembravano avere un'aria terribilmente triste.
Una bambina pero' mi scorse da dietro il vetro e inizio' a gridare:
- La principessa! E' tornata la principessa Blair! E' nella carrozza, guardate! -
La gente si voltava prima verso di lei, incredula, e poi guardavano la carrozza con occhi ancora piu' sorpresi.
D'un tratto scoppio' il finimondo, tutti iniziarono a gridare di gioia, si abbracciavano e agitavano le braccia verso di me.
Non avevo la minima idea di cosa fare. Tutto quello era... inaspettato.
Mi voltai verso Lucy, stupita, ma per tutta risposta lei mi rivolse un enorme sorriso.
- E' mancata per talmente tanto tempo! Sono tutti felici di rivederla.-
Guardai di nuovo le persone fuori, e d'istinto sorrisi anch'io. Erano tutti talmente contenti.
Mi accorsi che la bambina di prima, quella che mi aveva notata all'inzio, stava correndo a per di fiato diero la carrozza, nella vana speranza di raggiungermi.
Senza saperene esattamente il motivo, mi chinai in avanti verso il cocchiere.
- Potresti fermare la carrozza, per favore? -
Scesi, e per un attimo fui sopraffatta dalle girda.
Il frastuomo era aumentato di dieci volte, ora che non c'erano i vetri a separarmi dalla gente. Continuavano a gridare il mio nome e io li fissavo ammutolita.
La ragazzina riusci' a raggiungermi e mi salto' in braccio, l'abbraciai anch'io perche' mi sembrava l'unica cosa naturale da fare in quel momento.
- Sei tornata! Oh, finalmente sei tornata! -
Mi abbassai per essere alla sua altezza e mi accorsi che i suoi vestiti erano sporchi e bucati, eppure lei sembrava talmente felice!
Come tutte le altre persone che mi accerchiavano, d'altronde. Sembravano tutti in brutte condizioni ma continuavano a sorridere e gridare il mio nome.
- Si sono qui. - risposi alla bambina, con un filo di voce.
Perche' lo stavo dicendo?
Io non ero la loro principessa. Non avevo nulla a che fare con loro, avevo appena accettato un patto dove li avrei incitato a partecipare alla guerra. A morire.
La bambina alzo' il braccio sinistro e mi mostro una bambola parecchio vecchia, ma a cui era evdidentemente molto legata.
- Guarda, si chiama Blair! - annuncio' con orgoglio.
E io le sorrisi, perche' non riuscivo piu' a dire nulla.
Era tutto troppo inaspettato, non avrei mai pensato che quelle persone contassero tanto sulla loro principessa.
Anche se, il ministro mi aveva avvertita: “tu mia cara principessa Blair, sei la loro unica speranza. Ti seguiranno ovunque lo so”
Ed era veramente cosi', mi accorsi.
Soltanto che in quelle circostanze loro non avrebbero seguito gli ordini della loro principessa, ma i miei.
Di colpo il viso della bambina di fronte a me muto', un'espressione terribilmente triste prese il posto del suo sorriso. Sembrava sull'orlo delle lacrime.
Per quanto ne sapevo io, una bambina non avrebbe dovuto mai avere quell'espressione. Era troppo tragica, troppo adulta.
- Oh, principessa, quando finira' questa guerra? - mi chiese.
Rimasi senza parole.
Io avevo appena accettato un patto, dove avrei in poche parole “sponsorizzato” quella guerra, Io li avrei incitati a combattere. Io li avrei uccisi tutti.
- Presto. - le risposi, determinta. - Questa guerra finira' presto, te lo prometto. -
E nell'istante esatto in cui pronunciai quelle parole, seppi di essere gia' morta.

La carrozza cigolo' sulla ghiaia e si fermo' di fronte all'entrata principale.
Bene, ero arrivata.
Per tutto il viaggio verso il castello avevo continuato a torcermi le mani e a ripetermi di stare calma. Lucy inoltre mi aveva guardta con aria preoccupata tutto il tempo, ma non aveva osato pronunciare parola.
Trassi un profondo respiro e mi lisciai la gonna del vestito, poi aprii la portiera della carrozza e saltai giu', attenta a non inciampare nell'orlo dell'abito lungo.
Sapevo che indugiare oltre non sarebbe servito: avrei perso la determinazione che gia' inziava a vacillare.
Quindi mi affrettai ad entrare nel castello, seguita dalle grida di Lucy intenta a chiedermi cosa volessi fare.
Mentre vagabondavo da una parte all'altra di quell'enorme posto, mi maledii per non essere stata piu' attenta quando mi avevano accompagnata da lui, almeno avrei saputo dove andare.
Senza contare che le stanze e i corridoi era tutti identici, inutile anche solo pensare di fissarmi dei punti di riferimento.
- Principessa, Blair? Sta forse cercando qualcosa? - mi sentii chiamare da dietro.
Mi voltai e mi ritrovai di fronte al ragazzo di prima, quello che mi aveva aiutata a a salire sulla carrozza.
Di nuovo mi sentii ispiegabilmente a disagio nel vederlo, anche se non riuscivo a capirne il motivo.
Anche lui aveva un'espressione strana, triste e frustrata. Era stato l'unico fin'ora, eccezion fatta per il primo ministro, a non mostrarsi assurdamente felice per la mia presenza.
In ogni caso avevo bisogno d'aiuto, e lui era l'unico a cui chiedere nelle vicinanze.
- Sto cercando l'ufficio del primo ministro e... - mi bloccai, sorpresa quanto lui nel ritrovarmi la voce spezzata. - Credo di essermi persa, io...-
Mi accasciai su uno dei gradini della scalinata che stavo salendo, la testa fra le mani.
Era troppo. Era decisamente troppo, per una persona sola.
Lui si sistemo' accanto a me, lo vidi alzare un braccio come se volesse abbracciarmi, ma poi lo riabbasso'.
- Che succede? - chiese, con tono gentile.
Da quando ero arrivata in quel posto, era l'unica ad avermi parlato in modo normale.
Gli altri erano talmente strani, innaturali e finti.
E forse fu per quello, oppure perche' sempliecemente non ne potevo piu' di tenermi tutto dentro; fatto sta che gli raccontai tutto.
- Che succede? Piacerebbe saperlo anche a me, credimi. Mi e' arrivato quello stupido libro, e io l'ho aperto anche se probabilmente non avrei dovuto. E mi sono ritrovata qua, dentro al libro, capisci? Ti sembra possibile? E poi vedo il ritatto di quella ragazza sopra al letto, ed era identica a me. Ero io. E tutti continuano a chiamarmi principessa, ma io non sono la vostra principessa, dannazione. Poi arriva quel ministro, con tutti i suoi piani che dio solo conosce, e io accetto il patto perche' mi sembra l'unica cosa ragionevole da fare. Ma poi vado la' fuori e vedo tutta quella gente, e quella bambina era talmente triste! Non posso far andare avanti la guerra, capisci? Non se tutta quella gente morira'. Anche se non spetta a me decidere, ma la vostra principessa del cavolo non c'e' e tutti pensano che le dicisioni spettino a me. Non posso assecondare la guerra, non e' giusto. Ma se non lo faccio il ministro mi uccidera' e io non voglio morire. Dico davvero, non pensavo m'importasse tanto ma e' cosi'! Voglio dire, ho sedici anni! -
Ecco, avevo svuotato il sacco ma non mi sentivo affatto bene come avevo immaginato. Probabilmente il ragazzo credeva che ero pazza, o che mi divertivo ad inventare storie assurde e senza senso.
E a dirla tutta, potevo benissimo essere diventata una pazza che racconta sotrie assurde, non sarebbe stato molto strano. Non in confronto al resto, sicuramente.
- Nessuno ti uccidera'. - disse, dopo vari minuti di silenzio. - Andra tutto bene Bla.. ehm, volevo dire, andra' tutto bene principessa. -
Ecco, mi aveva chiamata principessa. Non mi credeva.
Cosa mi aspettavo, d'altronde? Le persone normali non saltano dentro i libri.
Pero' era stato gentile. E carino.
- Chiamami pure Blair. - dissi. - Il tuo nome? -
Mi lancio' un'occhiata sorpresa, che subito si trasformo' in quella che assomigliava di piu' a una triste rassegnazione.
Sembrava veramente abbattuto, ma non riuscivo a capirne il perche'.
- Ho detto qualcosa di male? - chiesi, perplessa.
Mi rivolse un sorriso tirato. - No, certo che no. E' passato molto tempo, io... - lascio' la frase in sospeso e si alzo'.
- Mi chiamo Jason. - disse, tendendomi la mano.
La strinsi, e notai che quella sensazione strana ancora non era svanita.
- Quindi, devo portarti dal primo ministro? Sei sicura? -
Indugiai un paio di secondi, poi mi alzai.
- Sono sicura. -

La stanza sembrava se possibile ancora piu' tetra di prima, il ministro sedeva dietro la scrivania impegnato a fumare l'ennesima sigaretta. Quando mi vide entrare la spense lentamente nel portacenere di cristallo e volto' la testa verso di me.
- Ho sentito che sei andata nel Regno. -
Annuii, senza la forza di dire nient'altro. Era incredibile come quell'uomo riuscisse a farmi sentire insicura e fragile.
- Avresti dovuto avvertirmi. - replico', in tono freddo. - Forse non ti e' chiaro, sei sotto i miei ordini ora. -
Si accese un'altra sigaretta, non potei fare a meno di pensare che avesse proprio una grave dipendenza.
- Ti hanno chiesto della guerra? -
- Mi hanno chiesto quando sarebbe finita. -
- Cos'hai risposto? -
- Presto. -
- Presto? -
- Proprio cosi'. -
Mi alzai e mi avviai verso la scrivania, in modo da essere in piedi di fornte a lui.
Non avevo mai avuto paura di farmi valere e di certo non mi sarei fermata di fronte a un primo ministro dipendente da sigarette.
- Finisce qua. La guerra, e anche la tua carica. -
- Avrei dovuto immaginarlo. - disse solamente lui.
Mi resi conto che quelle non erano parole mie, erano quelle che avrebbe dovuto dire la vera principessa di quel posto.
Ma lei non c'era e non mi restava altro se non prendere il suo posto finche' non sarebbe tornata, a quel punto si sarebbe presa il suo Regno e io sarei tornata a casa.
Proprio cosi'.
Peccato che non avessi preso in considerazione un paio di particolari, tipo il ministro.
E le su guardie.
Ce n'erano decine, attorno a me. Spuntate furoi in seguito a un suo schiocco di dita.
Subito un paio mi presero per le braccia, imobilizzandomi completamente.
- Aspettate, non potete! - iniziai incredula. - Io... io sono la principessa, insomma. -
D'accordo, non lo ero tecnicamente. Ma cosa avrei dovuto dire allora?
- Andiamo, fermatevi! -
Le guardie si limitarono a lanciare un'occhiata al ministro, il quale si limito' ad un:
- Portatela via. - senza nemmeno alzarsi dalla sua scrivania.
Mi trascinarono fuori, mentre io ormai avevo rinunciato a ribellarmi: le guardie erano troppe e obbedivano tutte al ministro.
- Cosa diavolo state facendo? - sentii gridare dietro di me, mi voltai per quanto me lo permettevano le braccia che mi tenevano ferme.
Jason era li', a fissare incredulo me e le guardie che mi stavano trascinando via.
Una di loro grido', in direzione del ministro: - Che dobbiamo fare con lui? -
Sentii dei passi e lo vidi uscire, con l'aria esasperata.
- Portate via anche lui. - replico', annoiato.
Subito, altre guardie si accanirono su di lui, trascinandolo verso i sotteranei.
Si volto' a guardarmi, non riuscii a cogliere il significato della sua occhiata.
Non riuscii a far altro che fissarlo impotente.
Proprio in quell'istante vidi Lucy che si aggirava verso di noi, spolverando le numerose statue del corridoio.
Il ministro si avvio' verso di lei. - Ascoltami bene. - disse, prendendola per le spalle. - Dirai a tutti che lei non e' la vera principessa, ma un'impostora, una spia. E che e' stata mandata via. Sono stato chiaro? -
La poveretta aveva il viso pallidissimo, e sembrava spaventata a morte.
- Sono stato chiaro? -
- S-si, c-certo. - balbetto' lei, in preda al panico. E corse via.
Il ministro si volto' nuovamente verso le guardie.
- Poratate via anche quello che aveva con se'. - li raccomando' con tono gelido, poi si riavvio' verso il suo ufficio.
Le ultime parole che gli sentii dire furono:
- Qui non c'e' mai stata nessuna principessa. -
Poi sentii un forte colpo dietro la nuca.
E infine tutto buio.

Non posso essere morta. Fa troppo male.
Furono queste le prime cose che mi saltarono in mente quando mi risvegliai.
E quindi, il primo ministro non aveva ordinato la mia morte?
Perche' su questo non c'erano dubbi, ero ancora viva.
Nessuna vita oltre la morte puo' essere cosi' dolorosa, soprattutto se muori per salvare gli abitanti di un regno di cui non e' nemmeno certa l'esistenza.
Probabilmente mi aveva direttamente buttata a terra dalla finestra della carrozza, senza fermarsi. Era quella l'unica spiegazione per giustificare i miei muscoli doloranti.
Per non parlare della testa.
L'ultima cosa che ricordavo era un colpo alla testa che, probabilmente, mi aveva anche fatta svenire fino a quel momento.
Ecco un pretesto per giustificare la foresta che continuava a girare attorno a me, la risposta alla domanda “perche' sono in una foresta?” l'avrei cercata piu' tardi.
Affianco a me c'erano la mia borsa e la chitarra, un momento, avevano lanciato anche quelle?
Subito afferrai la chitarra, controllando che non avesse subito danni ma fortunatamente c'erano soltano un paio di graffi in aggiunta di quelli che c'erano gia' in precedenza.
Presi poi la borsa, e notai che qualcuno vi aveva infilato i miei vestiti e le Converse.
Almeno avevo le mie cose, non mi era andata cosi' male- Okay, chi stavo prendendo in giro?
Era andato tutto male. Malissimo.
Ero in mezzo ad una foresta sconosciuta, avevo male ovunque, la testa mi girava e probabilmente sarei morta da li' a poco a causa di un animale selvaggio o per il freddo.
E tutto questo per cosa? Per aver cercato di fermare una guerra di cui non ero responsabile, salvare la vita a persone che non conoscevo e ricorpre il ruolo di principessa che non ero.
Dannazione, quella gente era dentro a un libro!
E alla fine cosa ne avevo ricavato? La guerra sarebbe andata avanti comunque, le persone sarebbero morte.
Quella bambina sarebbe morta. Tutta la gente che mi aveva salutata gridando il mio nome sarebbe morta. Jason sarebbe morto.
Con l'unica differenza che sarei morta pure io.
Fantastico, davvero. Complimenti Blair.
Cosa pensavo di fare?
Mi passai le mani fra i capelli, frustrata, non avevo la piu' pallida idea di cosa fare.
Iniziai a svuotare la borsa, tanto per vedere cosa c'era di utile.
Gli oggetti erano allienati di fronte a me:
I vestiti (una cannottiera dei Guns n Rose, il maglione rosa cipria, i jeans scoloriti , la sciarpa e le Converse), l'iPod, le cuffie, un pacchetto mini di patatine al formaggio e uno di biscotti al cioccolato, un'edizione tascabile di Anna Karenina, un pacchetto di Lucky Strike, un accendino, lo spray al peperoncino anti-agressione, un pacchetto di Mentos,un paio di aspirine, la tessera della metro, alcune monete, un elastico, forcine per i capelli.
Sarei sopravvissuta a lungo, certo.
L'unica cosa che mi sarebbe tornata utile in quel momento erano le aspirine, ne ingoiai una senza acqua, sperando di sentirmi meglio.
Risistemai le cose nella borsa e mi alzai, tenendo la chitarra nell'altra mano.
Anni fa mi avevano obbligata ad andare in campeggio con la scuola, tecnicamente ero rimasta solo una notte perche' il giorno dopo me n'ero andata via per i fatti miei, ma ricordavo l'istruttore che ci raccomandava di trovare per prima cosa una fonte d'acqua.
Il terreno sotto i miei piedi era umido, quindi non doveva essere molto lontana.
Iniziai ad avviarmi verso un fruscio che molto probabilmente apparteneva ad un corso d'acqua, la testa mi girava ancora ma non cosi' tanto da impedirmi di camminare.
Giunsi ad un punto dove l'erba e i cespugli mi arrivavano fino alla vita, non dovevo essere molto distante ma avanzare in quel modo era impossibile.
Decisi di lasciare la borsa e la chitarra in un angolo, in modo da raggiungere piu' facilmente l'acqua. Una volta capito dov'era sarei ritornata a prenderle.
Iniziai a farmi strada fra le erbacce, la visibilita' era pessima quindi non avevo praticamente idea di dove mettevo i piedi.
D'un tratto mi inizio' a giarare la testa, cercai un qualche appiglio per restare in piedi, ma purtroppo non trovai nulla e mi sentii precipitare nel vuoto.
L'acqua gelida mi prese di sprovvista, convinta com'ero di cadere sull'erba, cercai di tenermi a galla ma non ero mai stata una gran nuotatrice e quel vestito mi ingombrava non poco.
Provai a gridare, ma subito l'acqua mi entro' in bocca impedendomi anche di repirare.
Scesi sempre piu' in profondita', agitando braccia e gambe invano.


Ehm, chiarisco un paio di cose D:
Il ministro ha deciso di fare il patto con Blair perche' il Regno del Fuoco e' fra i piu' poveri in Rebilia, e in seguito alla guerra la popolazione era veramente scontenta.

Jason si comporta cosi' con Blair perche' prima era molto amico della principessa, quindi vedendo che Blair non da alcun segno di averlo riconosciuto si sente in un certo senso tradito (??)

Ultima modifica di misteriosa98 (2013-08-16 00:56:32)

 

#284 2013-08-16 11:03:22

ella22
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Re: GDR:Princess of Rebilia

Quanto è lungo ho gli ochhi stanchi morti! ouf


“I got my fingers laced togheter and I made a little prison and I'm locking up everyone that ever laid a finger on me.”
 

#285 2013-08-16 16:01:30

luix02
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Re: GDR:Princess of Rebilia

5°post
Il ministro entrò trionfante come al suo arrivo nelle segrete per incontrare la principessa.Corridoi e corridoi fino a quando non iniziarono a intravedersi moltissime porte scorrevoli chiuse da imponenti lucchetti...Arrivati a una certa porta argentata il  presidente la spalancò dopo aver sfilato il lucchetto e si mise a squadrare la principessa incatenata ai polsi ed asclamare recitando-Ma perchè la avete rinchiusa lei è la principessa_..._liberatela subito e portatela in camera sua ,fatela lavare e curatela...-Così fecero...Passò circa una settimana da quando fu attuato il piano del ministro...All'ora di pranzo la principessa entrò nella sala da pranzo si accomodò e iniziò a mangiare accompagnata dal ministro ,dal vice ministro e da una squadra di 7 guardie tutte intorno alla sala...Ice Iniziò a mangiare un pezzo di pollo accompagnata da due sorsetti d'acqua,al terzo non resse più e svenne.L'acqua era avvelenata...Subito dopo le guardie accorsero e sotto ordine del ministro,la legarono la portarono dentro un carretto di legno trainato da due cavalli e si avviarono verso il bosco ghiacciato del regno...Circa un'ora di viaggio passò ,quando Ice si svegliò e si accorse di essere legata allora iniziò a scalciare e a cercare di urlare.Anche se senza risultato.Passò un quattro d'ora quando Ice si rassegnò  e il carretto si fermò...I due cavalieri si alzarono dai sedili e andarono a prendere la principessa ..appena ella li vide capì che il ministro la aveva sfruttata ma poi disse - :adesso non è il momento devo pensare a come liberarmi...-I due la accostarono davanti a un albero e la abbandonarono...Era sola...
(Sono di fretta per quello non ho scritto moltissimo...)

Ultima modifica di luix02 (2013-08-16 19:54:36)


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#286 2013-08-17 21:43:29

eynis
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Re: GDR:Princess of Rebilia

scusate. ho sistemato un po' il vecchio post, spero che non vi dispiaccia

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Seguii Belaru inciampando nel lungo vestito. Quella ragazza non aspetta proprio nessuno, per la miseria! Non per vantarmi, ma io sono la principessa ! per quel poco che so di gerarchia, dovrei esserci prima io del ministro Pervell!
Praticamente attraversiamo tutto il palazzo, ma io non ho neanche il tempo di osservare l’architettura, la magnifica disposizione del mobilio e gli accessori di puro diamante o di cristallo finissimo. E mi dispiace davvero moltissimo. Non so neanche quanto tempo resterò qui, magari adesso mi risveglierò con l’alito gelido di Merry, o la mamma mi dirà che è tardi e che devo pranzare. O il papà mi sveglierà per dirmi che è stato tutto un bruttissimo incubo.
E io piangerò, perché invece per me è un meraviglioso sogno. Perché in questo mondo Merry non è morta, ma è scomparsa, e quindi vuol dire che non è morta, o almeno che c’è una piccola possibilità che sia viva! Anche se qui sono morti i miei genitori… non mi interessa. Io vorrei solo mia sorella, sarei disposta a tutto pur di riaverla.
Mentre mi perdo in questi ragionamenti Belaru è andata avanti e non mi ha neppure aspettato! Che maleducata!
Così corro dietro alla cameriera robot e rischio di inciampare cinque o sei volte, una volta nell’orlo e un’altra nei tacchi alti.
Alla fine arriviamo davanti a una porta di legno bianco intarsiato e gigantesco!
Belaru bussa in uno strano modo. Un pugno, pausa, due pungi in successione, di nuovo uno, e poi quattro di fila. Non sono così stupida da pensare che non ci sia niente sotto. Sicuramente è un codice segreto, solo che non so a cosa serve, questo codice segreto.
Poi la porta si apre da sola. Se ci fosse stato uno scricchiolio potrei dire di essere finita in un film del horror. Per fortuna non c’è nessun scricchiolio e posso entrare nella stanza al seguito di Belaru.
Quello che mi si apre davanti è uno studio meraviglioso!
Sono tutte vetrate, a parte la porta a doppio battente in legno bianco. Dalle vetrate istoriate si può vedere un bellissimo giardino con l’erba verdissima, tanto da sembrar finta, e tantissimi fiori, di tutti i colori.
Al centro c’è un’enorme scrivania interamente di cristallo, o forse è diamante? Non saprei dirlo, ma so che riflette la luce che entra dalle vetrate e la trasforma in milioni di arcobaleni che si spargono per tutta la stanza. La scrivania è abbastanza ingombra di fogli, libri, diari, penne d’oca, inchiostro e quant’altro. Davanti alla scrivania ci sono due piccole poltroncine di legno bianco e semplice con della stoffa bianca e morbida sulla seduta.
Dietro alla scrivania è seduto un uomo sulla ventina, quasi un ragazzo, praticamente. È chino su un foglio, ma appena mi vede entrare alza lo sguardo e due occhi celesti, alquanto e stranamente normali, mi fissano. Sono allungati, un po’ a mandorla. Ha capelli biondo scuro corti, con delle sfumature arancioni. Un piccolo naso dritto, una bocca rosea e carnosa. Gli zigomi alti e la pelle rosea e con nessuna imperfezione.
Indossa una cravatta color del cielo e un doppio petto bianco e con dei piccoli gemelli di diamante.
La cosa più strana di questo ragazzo, è che gli occhi non sono luminosi come quelli di Kelan o di Acquamarina, e non sono neanche inquietanti come quelli di Belaru, sono normali. E così anche la pelle, non c’è la minima traccia di polvere di diamante sulla pelle del ragazzo. È così normale… e… bello.
Il ragazzo si alza e mi si avvicina. È un ragazzo bellissimo, alto, magro, ha un ampio torace ben allenato, ma… qualcosa mi spinge a nascondermi dietro qualcosa.
Come se quel ragazzo nascondesse qualcosa e mi volesse fare del male. Ma la sua è un’espressione così dolce e gentile, come posso pensare che mi possa anche solo pensare di farmi del male? No, deve essere solo una mia stupida impressione.
Il ragazzo si inchina, prende una mia mano e se la posa sulle labbra.
Io sotto tutta la polvere di diamante arrossisco.
«Principessa Alisson! Quale onore! Prego, sedetevi. Vedo che come al solito è meravigliosa e… luminosa! Ma avanti, non state lì impalata! Prego, prego, sedetevi!» di certo questo non mi aiuta a diventare bianca come ero prima, visto che il rossore continua a occupare le mie guancie.
Il ragazzo ha una voce melodiosa e magnifica, potrebbe cantare benissimo, e dopo la ruvida metallicità della voce di Belaru, il suono della voce del ragazzo è come una pomata sulle ferite.
Così mi siedo sulla morbida sedia davanti al ragazzo, di cui ignoro ancora il nome.
Probabilmente se ne accorge e si dà una pacca sulla fronte.
«Che stupido! Scusate principessa Alisson! Mi potrete mai perdonare?» chiede con voce melodrammatica, come se stesse recitando. «Mi ero completamente dimenticato che non vi ricordate assolutamente niente! Non fate quella faccia sorpresa, principessa Alisson, qui le notizie corrono in fretta! Ti ci abituerai in fretta, non preoccuparti! Comunque, io sono il primo ministro, sesto fratello Marshall Pervell.»
E così è lui il primo ministro di cui si parla tanto! È un così bel ragazzo… come si può pensare che abbia una carica così importante? Ed è così… normale e giovane.
«Belaru, puoi andare, grazie. Anzi! Vai alle stalle e chiedi di sellare i due purosangue bianchi! Uno per me e uno per la principessa Alisson!» dice tutto felice.
Mi chiedo come mai una persona così normale come il primo ministro Pervell, abbia scelto una cameriera come Belaru, che di normale non ha niente.
Marshall inizia a parlare dei nove regni presenti a Rebilia, io non lo ascolto molto, visto che Acquamarina mi ha raccontato le stesse cose. Ma mi perdo a guardare i suoi meravigliosi e normali occhi celesti.
Dopo non so quanto tempo arriva Belaru, che ci annuncia che i cavalli sono pronti.
Marshall fa il giro della scrivania, mi prende una mano e mi aiuta ad alzarmi.
Quando sono in piedi il primo ministro mi squadra dalla testa ai piedi e poi fa segno di no con la testa.
Io, in preda al panico, penso a cosa può significare quel no così sconsolato.
«Questi vestiti non vanno proprio bene per una cavalcata! Dobbiamo dire a Kelan di prenderti altri vestiti, e ad Acquamarina di pettinarti in modo diverso, se no i capelli si impiglieranno durante la cavalcata! Belaru, per favore, avvisale tu, accompagno io la principessa nella sua stanza mentre i suoi camerieri le preparano il necessario.»
Belaru scompare subito dietro la porta di legno bianco, e poco dopo la seguiamo anche noi.
anche questa volta non riesco a vedere niente delle meraviglie del palazzo, perché Marshall tira dritto verso la mia torre e io devo arrancargli dietro.
quando arriviamo ci sono già Acquamarina e Kelan nella mia stanza da letto che mi aspettano con dei vestiti in mano.
subito escono Belaru e il primo ministro, così rimaniamo solo io, Kelan e Acquamarina, ma solo per poco, perché appena può, Kelan consegna i suoi vestiti ad Acquamarina, le sussurra qualcosa all'orecchio ed esce dalla porta di vetro smerigliato.
eccoci di nuovo, solo io e Acquamarina. bene, anzi, benissimo!
mi avvicino titubante alla ragazza. e assieme scendiamo di nuovo verso la stanza da bagno. mi lavo nuovamente, per togliere tutta la polvere di diamante, il trucco e lavare i capelli. Acquamarina esce dalla stanza mentre mi lavo e quando la chiamo ritorna dentro, prende i vestiti e mi fa indossare un corpetto bianco con i lacci color avorio, piccoli bottoncini di diamanti e stretti fino a toglierei il fiato. mi sbagliavo, solo alcuni dei corpetti che c'erano nell'armadio erano larghi e non erano macchine di torture. ma perchè Kelan ha scelto questi abiti per me? cosa lo ha spinto a scegliere degli abiti così scomodi per una cavalcata?
poi Acquamarina prende una corta gonnellina, almeno penso che sia corta, per i parametri di quest'epoca. di sicuro non è inguinale come quelle del XXI secolo, ma comunque è corta. arriva a metà coscia ed è larga per consentire il movimento. è di pelle bianca trattata all'esterno e di morbida stoffa vellutata all'interno. naturalmente non possono mancare piccoli diamanti su tutti gli orli della gonna.
è tutto bellissimo. poi Acquamarina mi aiuta a mettere dei lunghi stivali che arrivano al ginocchio, sempre di pelle bianca trattata, ma molto semplici, senza perline o piccoli diamanti, molto semplici e bassi. ai polsi mi fa mettere dei polsini di pelle bianca lunghi metà avambraccio.
quando penso di aver finito, Acquamarina si avvicina con un altro vestito bianco e semplice. questo mi ricorda già un'uscita per cavalcare di una tipica dama del medioevo, ma io sono già vestita! perchè farmi mettere un altro vestito sopra? non capisco.
quando lo chiedo ad Acquamarina mi dice semplicemente che dei ministri non c'è mai da fidarsi e continua a farmi indossare il vestito. io continuo a non capire. poi mi si avvicina ancora di più e con un sussurro mi dice: «Non ditelo al primo ministro Marshall Pervell!»
perchè non deve saperlo? ma Acquamarina non aggiunge altro. e va avanti a sistemarmi il vestito. sotto le ampie maniche non si vedono i polsini e non c'è traccia del corpetto e della gonna. ma noto che tutto il vestito si può togliere tramite piccoli bottoncini di cristallo fissati sulle cuciture. chissà come mai.
quando finisce con i vestiti passa ai capelli. ma fa una lunghissima treccia, come quella di prima, ma prende tutti i capelli, e poi me l'arriccia intorno alla testa, come una piccola coroncina di capelli. questa volta solo forcine normali, niente di luccicoso o di meraviglioso, è tutto semplice.
naturalmente mi mette la polvere di diamante sulla pelle e poi un filo di matita bianca che quasi non si vede sulla mia carnagione chiara.
quasi di nascosto Acquamarina mi da un piccolo pugnale totalmente bianco, deve essere di diamante, e anche una spada, di diamante. per ogni arma mi da una custodia con ghirigori luccicanti, che mi fissa sulla gonna più corta con una cintura di cuoio bianco. Perché mi sta vestendo così?
Come ultimo mi da un arco e una faretra, che io metto a tracolla. Non capisco perché mi hanno bardata così per una semplice cavalcata con quello splendido ragazzo del primo ministro. Sembra quasi che sia un mostro e che mi voglia fare chissà cosa. Io non so neanche utilizzare queste armi!
Guardo Acquamarina stupita, ma lei abbassa lo sguardo e non mi guarda negli occhi.
Usciamo assieme dalla stanza da bagno, io davanti, lei dietro.
Kelan, Belaru e Marshall mi aspettano sotto la rampa delle scale della mia torre. Marshall si è cambiato, adesso indossa dei pantaloni di cuoio bianco aderenti, una camicia larga con i bottoni di diamante, degli stivali alti color panna, molto semplici, come i miei. Poi a tracolla porta un arco, anche lui.
In mano ha un frustino di pelle, probabilmente per il cavallo, e sulle spalle porta un semplicissimo mantello bianco.
È tutto molto normale, per adesso.
Marshall mi si avvicina e mi posa sulle spalle un mantello molto semplice e caldo, bianco, con il cappuccio di pelliccia.
Lentamente usciamo dal palazzo, il primo ministro mi prende sotto braccio e mi accompagna verso un grande spiazzo di ghiaia luccicante. Possibile che sia… no, non è possibile! Non ci possono essere dei diamanti anche qui! È possibile che anche i sassolini di ghiaia, così normali qui siano dei diamanti?!
Con due ragazzi vestiti da brache di pelle bianche e camicie bianche e molto semplici, arrivano due meravigliosi cavalli purosangue bianchi. Sono due creature meravigliose, così forti, bellissime e pure.
Ci sono delle selle bianche e ricoperte di diamanti e pietre preziose, è tutto meraviglioso. Ho quasi paura a salirci sopra, sento un senso di riverenza enorme.
Kelan mi si avvicina e mi aiuta a salire in sella. Sento che mi sussurra qualcosa all’orecchio. «Le apparenze ingannano, principessa Alisson. Stia attenta, il gatto si diverte a giocare con il topo…» poi si allontana guardandomi con quei due occhi meravigliosi e innaturali.
Per la prima volta mi chiedo se Marshall non sia quello che dice di essere. D’altronde, che altro senso possono avere le parole di Kelan? Non penso che direbbe qualcosa del genere rivolto a se stesso, e neanche ad Acquamarina. Belaru poi non centra molto. L’unica persona che rimane è Marshall Pervell.
Il gatto si diverte a giocare con il topo. Il topo sono di certo io, ma perché il primo ministro vorrebbe giocare con me? Non lo conosco neanche! Do l’aria di essere così ingenua? Forse sì.
Adesso non sono più così felice di andare a cavallo con il primo ministro. Se solo avessi una scelta, direi che ho cambiato idea, che non voglio più uscire. Ma non posso.
Così faccio andare il cavallo al piccolo galoppo dietro a Marshall e lo seguo verso un piccolo boschetto.
Pervell continua a parlare, ma io non lo ascolto, non ci riesco. Continuo a pensare a quello che mi ha detto Kelan, al suo significato. Perché me lo ha detto!
Non so quanto tempo è passato, ma vedo che il sole sta scendendo all’orizzonte. Ho tutte le gambe indolenzite per il troppo cavalcare, e sono stanchissima. Ombre lunghe e scure calano sul bosco dove siamo arrivati. Non capisco perché siamo qui.
Ad un certo punto vedo che Marshall scende da cavallo, così lo imito anche io.
Scendo con molta fatica dalla sella e se non mi tenessi al cavalo cadrei a terra. Non sento più le gambe. Non sono proprio abituata a stare a cavallo per così tanto tempo.
Non sono abituata a stare a cavallo, punto.
Quando ho riacquistato parzialmente l’uso delle gambe mi volto verso il primo ministro e mi avvicino traballante a lui. Quando si gira i suoi occhi sono… strani… sono… malvagi. Hanno una luce maligna che risplende nell’azzurro del cielo dei suoi occhi.
Con un movimento fluido del polso estrae un piccolo pugnale dalla manica ampia della camicia.
Vuole… vuole… colpirmi!
Non so con quali riflessi mi muovo, ma scarto il piccolo pugnale trasparente che mi viene scagliato addosso. Penso che una volta ero allenata per queste cose, così come per l’equitazione, e con l’arco, se me lo hanno dato ci sarà pure un motivo. E con i pugnali, e la spada. Ma… come faccio a estrarli da sotto l’ingombrante gonna bianca? Non posso! L’unica arma che posso usare è l’arco.
Butto il mantello da una parte e mi tolgo l’arco, incocco una feccia e mi allontano di qualche metro da Marshall.
L’arco non è un’arma a uso ravvicinato, usarla troppo vicina al bersaglio nocerebbe a me.
Così mi allontano e prendo la mira. ma mentre mi concentro Marshall ha preso anche il suo arco e ha incoccato una freccia.
Uno contro uno.
Prima di cambiare idea lascio l’arco e scaglio la freccia. Pervell non può schivarla e così lo colpisco a una spalla. Rincuorata dalla mia mira ne prendo un’altra, la incocco e la lancio di nuovo contro Marshall, ma manco la mira.
Anche Pervell ha scagliato un paio di frecce, ma miracolosamente mi ha mancato. Lascia da parte l’arco e corre verso di me. Non penso di essere brava nel corpo a corpo, e il corpetto stretto, troppo stretto, non giova a mio vantaggio, ho già il fiatone e nei miei polmoni non entra abbastanza aria. E poi, Marshall, oltre a essere un uomo, il che ha già i suoi vantaggi, è anche una spanna buona più alto di me, ha sicuramente più muscoli e più potenza. Sono spacciata.
Mentre questo pensiero si insinua nella mia mente il primo ministro mi si avvicina con un pugno testo e me lo pianta in pancia, con tutta la forza che ha.
Il poco respiro che tenevo nei polmoni esce tutto d’un fiato. Ma non è contento. Mentre io mi accascio a terra lui carica un altro pugno che mi arriva in fronte. Sento la pelle tagliarsi sopra il sopracciglio. E sento che la mia testa inizia a farsi pesante, molto pesante.
Chiudo le palpebre e poi sento qualcosa di morbido sotto la guancia, penso che sia la soffice erba del bosco.
Ma poi non sento più niente.
È notte, o giorno?
Che ore sono?
Dove sono?
Chi sono?
Sono morta?
Non lo so. Non ho voglia di pensarci, non ho tempo.
Mi sembra di aver perso un treno molto importante, o di averlo preso? Non lo so più.
Sento qualcosa che cade accanto a me, qualcosa di leggero. Ma non ho proprio le forze di aprire gli occhi e guardare che cos’è.
Le palpebre si fanno così pesanti, la testa è un macigno. Forse dovrei solo dormire e aspettare la fine. La fine di qualcosa.
L’unica cosa che sento è qualcuno che corre via con un cavallo.
No, con due. Non ho più il bellissimo cavallo bianco.
Peccato.

Ho fatto quello che mi hanno chiesto. Ho fatto quello che mi hanno chiesto. Ho solo fatto quello che mi hanno chiesto… continuo a ripetermi.
Ma chi diamine voglio prendere in giro!
Certo, ho fatto quello che mi hanno chiesto i miei fratelli, ma mi sono mai chiesto se è quello che voglio veramente? ovvio che no. Io devo sempre fare quello che vogliono gli altri! Che stupido!
Mi stringo la spalla dove la principessa Alisson mi ha colpito con la freccia.
Però devo ammettere che non me l’ero aspettato. Pensavo che avendo perso tutti i ricordi avesse anche dimenticato come usare un arco. Pensavo che se non si fosse difesa sarebbe andata meglio. Mi sarei sentito meno in colpa.
Invece ha lottato per tornare al castello e diventare quello che è destinata a essere. Una principessa.
Sono stato scorretto. Sono un vigliacco.
Ma cosa posso fare?
Sarei io da solo contro tutti i miei fratelli. So già di partenza che non ho scelta, non posso neanche fantasticare su un futuro diverso. C’è questo e basta.
E questo mi tengo.
Ormai non posso tornare indietro.
E poi c’è Belaru.
I miei fratelli sanno che sono l’anello debole. Per questo mi hanno messo quel mostro alle calcagna. Perché non si fidano di me.
Ma io non li tradirei mai. Per questo da vent’anni faccio tutto quello che vogliono.
Marshall, fai continuare la guerra. Fatto.
Marshall esegui gli ordini.Fatto.
Marshall fai come ti diciamo! Fatto.
Marshall ascolta Belaru! Fatto.
Marshall segui il piano!Fatto.
Marshall, comportati da uomo! Non sei più un bambino! Fatto.
Marshall, porta la principessa nel bosco. … fatto.
Ho sempre fatto tutto.
Arrivo al castello e fuori c’è solo Belaru ad aspettarmi.
Quando mi vede arrivare non trasparisce nessuna emozione.
Chiama uno stalliere, fa portare via i cavalli, e mi porta dal medico del palazzo per farmi curare la ferita.
Punto.
Niente: Come stai, ti fa male, posso fare qualcosa per te.
Nessuna preoccupazione.
Anzi, riferirà ai miei fratelli che mi sono anche fatto ferire dalla povera, ingenua e indifesa principessa Alisson.
Che riferisca pure quello che vuole! Cosa dovrebbe interessarmi? ma è tutta una bugia. Io lo so meglio di chiunque altro.
Io tengo a quello che pensano i miei fratelli di me, per questo ho sempre eseguito gli ordini. Per compiacerli.
E non ci sono mai riuscito.
Quando il dottore ha finto, vado nella mia stanza.
Ho preso la meno sfarzosa del castello, anche se dire che è poco sfarzosa è dire poco.
si trova dentro una cupola del palazzo. Nessuna stanza da letto è posta ai margini, ma sono tutte rialzate, per paura di qualche attacco.
Al centro della stanza c’è un grande letto matrimoniale di diamante, con delle coperte celesti, i cuscini bianchi ricamati con diamanti celesti.
Poi c’è un piccolo armadio, che attraverso una botola sul pavimento scende in una stanza sotto la camera da letto.
Per il resto, la camera è spoglia. Non un quadro o una libreria. Niente.
Alle finestre una vista a 360° gradi su tutto il Regno dei Diamanti.
La città, il palazzo, i giardini.
Il bosco.
Il bosco dove ho abbandonato la principessa.
Da qui non posso vederla, ma so che lì, da qualche parte, su un prato verde, è riversa una principessa bianca e candida come la sua anima. Come la sua terra.
Ma di certo non come me.
Mi cambio in fretta, con dei pantaloni di pelle e un’altra camicia pulita.
Esco dalla camera e vado vero quella della principessa.
Sono entrato milioni di volte nei suoi appartamenti, ma ogni volta mi stupisco di quanto siano meravigliosi. Un’opera architettonica incredibile.
Quando entro nella camera da letto, sull’enorme letto a baldacchino, sono seduti Acquamarina e Kelan. La ragazza sta piangendo e Kelan la consola.
Appena mi sentono entrare tutti e due alzano la testa e mi fulminano con lo sguardo.
Mi odiano.
Come tutti.
Acquamarina si alza, e anche se sa che è inutile, mi chiede:
-Dov’è la principessa Alisson?-
Io la guardo. Tutti in questa stanza, conosciamo la risposta.
-La principessa non c’è.-
-Questo lo vediamo anche noi!- urla Kelan. -Che tu sia maledetto!- mi urla poi addosso.
Mi odiano.
Come tutti.
Non vedo neanche arrivare il pugno di Kelan. Dritto in faccia.
Sento la pelle che si lacera vicino al sopracciglio.
Mi porto una mano alla fronte e guardo il sangue scarlatto.
Senza potermi trattenere, scoppio a ridere. Come un folle.
Forse il Karma esiste veramente.
Oppure è la semplice legge de:occhio per occhio, dente per dente.
Infatti il ragazzo, senza saperlo, mi ha inflitto lo stesso colpo che io ho riservato per la principessa.
Esco dalla stanza con le lacrime agli occhi per il troppo ridere.


Sono una creatura fatta di lettere, un personaggio disegnato da frasi, il prodotto di una fantasia scaturita dalla narrativa.
 
 

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